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martedì 17 aprile 2012

AL CINEMA PER “ROMANZO DI UNA STRAGE”, di Antonio Marchi


Un testimone molto “coinvolto”

Siamo a pochi passi da dove la vicenda è cominciata: a Treviso, al cinema Corso che è vicino alla galleria del libraio, il magazzino dov’erano custoditi armi e documenti, e alla trattoria dove Guido Lorenzon(*) andava a mangiare con Giovanni Ventura, per discutere di Evola, di Pound e di Celine, di timer per esplosivi e bombe sui treni.  Dentro al cinema  si proietta Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana. Guido Lorenzon, “il testimone” della pista veneta (interpretato nel film da Andrea Pietro Anselmi) è teso - come sempre quando si parla di piazza Fontana e della strage. Lui non avrebbe voluto esserci ma si è arreso all’insistenza di amici.
L’inizio è una delusione… per questa sua interpretazione dei fatti che è un discutibile cliché del Veneto pavido e ignorante; che falsa l’avvenuto in tante sue parti specie quando mette in mostra lo scontro tra “Lui”, Freda, Ventura. Lui (Il professore), reo di aver tradito la loro fiducia denunciandoli alle guardie…Falso! Che trasforma Giovanni Ventura (interpretato da Denis Fasolo), in un capellone impulsivo e spavaldo, che parla veneto come appena uscito da una balera… “Ma Ventura non era così, parlava lentamente e in italiano; era calmo e glaciale”, riferisce lo stesso Lorenzon.
Il film racconta di una pista anarchica (assurda quanto grottesca) e dipinge gli anarchici come perditempo (a parte Pinelli), fa passare come volontario il volo dalla finestra dal quarto piano della questura di Pinelli, falsa clamorosamente i fatti con le due bombe (?) coinvolgendo lo spettatore sprovveduto e “ignorante” nel dubbio atroce sulla vera esistenza di una pista anarchica (sconfessato fin dal primo inizio dalla controinformazione militante e poi dagli stessi giornali borghesi. Insiste sul complotto atlantico (Cia) - tra camarille di fascisti veri e falsi, “prìncipi” (Valerio Borghese) e cortigiani, nonché ambigue figure che girano nelle sedi degli apparati dello Stato come in quelle anarchiche.  Il film ci fa vedere a quali livelli di indecenza erano i vertici dello Stato, mostra il penoso teatrino di un governo allo sbando e un apparato poliziesco che lo comanda, sprezzante e imbelle. Il film ci regala sprazzi di verità mettendo in evidenza la figura di Giancarlo Stitz, giudice istruttore a Treviso, che non si arrende all’archiviazione del fascicolo e, per primo, fa arrestare Giovanni Ventura e Franco Freda, dando il via alla “pista” di Treviso, ma non va oltre. Unica concessione vera del film è il suo inizio: Prato della Valle, Padova, sullo sfondo Veneto e Franco Freda che ordina i cinquanta timer usati per la bomba.
Più inutile che dannoso allora? Secondo Lorenzon, che di quella drammatica vicenda è protagonista (vedere la scheda), il film è “dannoso” perché non ricostruisce la verità, ma insiste sulla pista anarchica, sulla presenza di due bombe nella banca: una che doveva scoppiare senza far male e l’altra che doveva uccidere. “Pur avendo tutti i riscontri giudiziari, perché il film non dice che la bomba è nata nel Veneto e portata dal Veneto a Milano e che la sorgente della strategia della tensione è trevigiana, come le indagini dei magistrati Calogero e Stitz confermano?”.
“La verità per quanto incompleta sta scritta negli atti giudiziari ed è quella che va raccontata alle giovani generazioni. Freda e Ventura sono stati protetti dai depistaggi, ma alla fine la Cassazione ha chiuso dicendo che sono i responsabili della strage.”


Un’infamia legata alla morte di Pinelli e poi di Calabresi (“coda” al film di Giordana)

Il 15 dicembre 1969 il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli (Pino) “vola” dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, dal quarto piano della Questura di Milano. Marcello Guida - questore di Milano - dichiara ai giornalisti che Pinelli messo di fronte alle “prove inoppugnabili” della sua complicità nell’attentato eseguito da Valpreda, si sarebbe suicidato, gettandosi dalla finestra. Questa versione viene poi smentita con un’altra più incredibile: in una pausa dell’interrogatorio, Pinelli si sarebbe avvicinato alla finestra per fumare una sigaretta e, colto da un malore, sarebbe precipitato... Secondo l’opinione comune il compito principale della polizia consiste nell’individuare i colpevoli e non di crearli. Ma il fatto che Pinelli sia stato ucciso mentre lo interrogavano potrebbe suscitare il sospetto che la polizia non cercasse il vero colpevole, ma voleva crearlo, estorcendo con la forza la sua confessione, secondo la pratica delle polizie degli Stati totalitari.
Infatti il compito principale delle forze dell’ordine di uno Stato totalitario (o di una dittatura) sta nel creare colpevoli considerando tutti i cittadini potenziali colpevoli, annullando così la differenza tra “avrebbe potuto farlo” e “lo ha fatto effettivamente” che permette allo Stato di scegliere liberamente, secondo le necessità del momento, “colpevoli”, “nemici del popolo” ecc.
La coincidenza con gli altri attentati (quattro) in due diverse città (Roma e Milano) che colpiscono luoghi “simbolici” dimostra l’efficacia di un’organizzazione munita di informazioni e mezzi tecnici che solo attrezzate organizzazioni criminali o servizi segreti dello Stato possono avere, non certo gli anarchici.
Accertato che la strage del 12 dicembre è di Stato, si è fatta strada - a sinistra - l’idea, quasi una convinzione ideologica (molto presente nel film), che gli attentati e gli attentatori avessero l’obbiettivo di spingere il Paese a destra per il semplice fatto che i servizi dell’ordine sono per definizione di destra, il che non corrisponde sempre alla realtà. I servizi segreti sono pagati dallo Stato che rappresenta per loro la raison d’être e la fonte di vita; perciò dovrebbero essere i primi interessati a conservare lo status quo o sistema politico costituito (sia esso rosa o nero, democratico o dittatoriale).
Quali mezzi hanno usato le forze dell’ordine per raggiungere questo scopo, comune a tutte le polizie? Sedici anni dopo la strage di Piazza Fontana, Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani vengono accusati dell’omicdio del commisario Calabresi (1972) sulla base delle “confessioni” di un ex compagno (Marino) che avrebbe partecipato all’attentato. L’analisi sia logica che contestuale dei fatti (che nessuno - nonostante i 7 processi - si è preoccupato di fare), non lascia alcun dubbio che le accuse contro Sofri e compagni siano state confezionate dalla polizia (in particolare dai carabinieri) e recitate, sotto minaccia, al momento giusto, da un provocatore scelto tra gli ex compagni.
Il momento (1988) in cui Sofri viene accusato dell’omicidio del commissario Calabresi è altamente significativo. Gli eventi che sconvolsero il mondo filosovietico potevano sconvolgere (come in realtà è accaduto) il sistema politico esistente. La preoccupazione maggiore, come si può facilmente supporre, era nei confronti del Partito comunista italiano. E così, con piena approvazione di tutti partiti ufficiali, viene tirato fuori dalle casse del Ministero dell’Interno un piano adatto all’occasione: un processo politico contro antichi nemici che sarebbero potuti risorgere, minacciando il sistema costituito. Il “caso Sofri”, in quanto caso non-isolato, ma anello nella catena degli eventi che lo hanno creato, permette di intravedere la natura del sistema (e i suoi mezzi di autoconservazione).
Calabresi non accetta di essere accusato dell’omicidio di Pinelli, non sopporta di essere linciato dal quotidiano Lotta continua e lo querela nonostante l’indagine fosse archiviata e Calabresi e i suoi collaboratori fossero – formalmente - fuori sospetto. Perché lo fa? Si offende? Segue i suggerimenti dei suoi superiori???  I sospetti non sono prove e la polizia è sempre circondata da sospetti di ogni genere… si può dire che il “sospetto” è l’elemento naturale della polizia, come l’acqua per il pesce, l’aria per l’uccello ecc.
Forse (e il film lo evidenzia) il Commissario sente il bisogno di difendere il suo buon nome che dopo tanti anni di servizio fedele non è abbastanza difeso dai suoi superiori e dallo Stato. Sbaglia valutazione sia nel credere nell’appoggio della magistratura e ancor di più nell’appoggio dello “Stato”. La querela non fa altro che ritorcersi contro di lui, riaprendo l’indagine sulla morte di Pinelli (riesumazione del cadavere). Il processo dà ragione a Lotta continua che nella battente denuncia sul giornale voleva (solo) portare alla luce la verità, denunciando Calabresi e la Polizia per i suoi metodi illegali. Di fatto, la riapertura delle indagini sulla morte di Pinelli portò Calabresi alla sua tragica fine. Perché? Perché nell’autunno del 1971, in seguito alla denuncia della vedova di Pinelli, Calabresi e i suoi collaboratori vennero accusati di omicidio e quindi le indagini in corso avrebbero potuto portare a svolte impreviste ed estremamente sgradevoli per il sistema.

Un’altra infamia legata alla morte Franco Serantini

In seguito si è aggiunta un’altra circostanza: la morte in carcere a Pisa dell’anarchico Franco Serantini, arrestato e picchiato dalla polizia fino alla morte. Si racconta che un medico abbia fatto segretamente l’autopsia al corpo di Serantini, constatando la morte causata da gravissime lesioni al cranio. Questo crimine suscitò una grande reazione nella pubblica opinione: una grande manifestazione promossa e sostenuta da Lotta continua coinvolse tutta la città.
In quell’occasione, Marino, l’accusatore di Sofri, riferisce di una sua immaginaria conversazione con Sofri e Pietrostefani: “essi mi confermarono che la decisione proveniva dall’esecutivo politico, dicendomi che i tempi erano maturi anche per l’effetto dell’assassinio di Serantini”. Secondo la versione di Marino, la decisione di uccidere Calabresi sarebbe stata presa precedentemente alla morte di Serantini, e quindi Calabresi sarebbe stato ucciso in ogni caso. Quando e perchè si è atteso un così lungo periodo? (due anni e mezzo)
L’accusatoria di Calabresi fu violenta ma lunghissima. Questo rende improbabile la progettazione dell’omicidio di Calabresi da parte di Lotta continua che aveva come unico scopo quello di portare allo scoperto le responsabilità di Calabresi e dello Stato. A Lotta continua Calabresi serviva vivo e non morto (come Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse, sacrificato da tutta la classe politica perché diventato scomodo avversario e “nemico” dello stesso sistema che lui aveva contribuito a creare). Cosa sarebbe successo se Calabresi non fosse stato ucciso? Supponendo che l’esame del cadavere di Pinelli avesse confermato i sospetti secondo cui Pinelli era volato dall’ufficio di Calabresi già morto, non per malore attivo ma per lesioni; in questo caso Calabresi avrebbe dovuto giustificare le sue azioni davanti ai giudici in un processo pubblico, avrebbe dovuto dire tanti perché e da chi prendeva ordini per ottenere ad ogni costo la “confessione” di un qualsiasi anarchico, con ogni mezzo a sua disposizione. C’erano forse prove a carico di Pinelli? Nessuna! Solo l’essere ideologicamente avversario politico del sistema. E se non c’erano, perchè proprio un anarchico? Cosa avrebbe risposto il Commissario, preso alle strette, non si può sapere. Sicuramente Calabresi era diventato un personaggio troppo scomodo, troppo pericoloso per lo Stato e i suoi servizi segreti: quindi andava eliminato (come Moro).
Morto Calabresi - vittima del sistema che ha fedelmente servito e difeso - infatti si chiudono le indagini su Pinelli, su Serantini e soprattutto si avvolgono di nebbie impenetrabili gli attentati del 12 dicembre. Certo, rimangono i sospetti ma questi non preoccupano nessuno: i sospetti non sono prove e la polizia vive sempre nel sospetto.
Dalla strage di piazza Fontana a oggi nessun ragionevole dubbio si è insinuato nella “ragion di stato”. Nessuna prova a carico di ministri, capi di governo che si sono succeduti. Le responsabilità politiche hanno trovato giustificazioni politiche fino allo sconcerto. Gli scopi oltre che politici erano storici. Riscrivere la recente storia italiana presentando la classe politica al potere come salvatrice della patria e i suoi oppositori come la causa principale dei mali.
Questo fu ed è il “paradosso italiano”: lo Stato “borghese” ristabilì il dominio dei suoi nemici, innescando il terrorismo per mezzo del quale esso riuscì a eliminare dalla scena politica i gruppi della sinistra alternativa ma nello stesso tempo la legittimità della lotta politica e tutto ciò che costituisce l’essenza della libertà (essere avversario politico, essere ribelle…). E questa è l’essenza del processo contro Sofri, Bompressi e Pietrostefani: essi sono colpevoli perché erano avversari del regime. Essere avversario politico è dunque un reato e in parte questo disegno è riuscito. La responsabilità morale della sinistra alternativa (di cui Lotta continua è stata la sua maggiore componente) con il terrorismo è diventata una specie di  rosario recitato con entusiasmo dai giornali e dalla gente comune e il processo Sofri lo conferma.
In un certo senso con “ragione”. A causa loro per autoconservarsi lo Stato ha dovuto usare metodi forti come il terrorismo pianificato, con l’uccisione di centinaia e centinaia di malcapitati cittadini.
I processi in corso possono solo contribuire a perpetuare l’illusione che il giusto e il vero sia quello che certifica lo Stato.
(Questo articolo era già scritto quando è arrivata la notizia che anche il processo sulla strage di Brescia del 16974 si è concluso senza l’individuazione di colpevoli, mandanti o responsabili.)

Antonio Marchi
(utopista rosso ex militante di Lotta continua)


(*) Guido Lorenzon è nato a Maserada sul Piave nel 1941. Conosce e frequenta Giovanni Ventura nel corso delle sessioni estive di Borca di Cadore del Collegio Pio X di Treviso. Un’amicizia coltivata più tardi nella galleria del libraio che Ventura gestiva in corso del Popolo a Treviso, diventata crocevia di molte relazioni dell’estrema destra mestrina e padovana. Nell’autunno del 1969 Lorenzon raccoglie le confidenze di Ventura, in particolare legate a “qualcosa di grosso che accadrà a Milano” nelle prossime settimane. Dopo lo scoppio della bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, venerdì 12 dicembre 1969, e soprattutto dopo aver visto in televisione le immagini del funerale delle vittime, decide di rivolgersi alla giustizia. La sera stessa del giorno dei funerali incontra a Vittorio Veneto l’avvocato Alberto Steccanella, al quale descrive le confidenze di Ventura. Questi informa l’avvocato e parlamentare della D.C. Dino De Poli. Nel pomeriggio del giorno di S. Stefano nel cimitero di Gaiarine, Guido Lorenzon incontra il giovane sostituto procuratore di Treviso Pietro Calogero. Mentre quasi tutta l’Italia si alimenta della pista anarchica seguendo le verità ufficiali, a Treviso si fa strada a poco a poco la verità. Nel generale scetticismo delle forze di polizia, tra misteriose fughe di notizie e in un clima di grande tensione, Calogero e il giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz, approfondiscono le dichiarazioni di Lorenzon e ne riscontrano l’attendibilità. A Treviso davvero Ventura e Freda con la cellula mestrina fa parte della rete di estrema destra che sa cosa è successo a Milano. Sarà questa pista a portare i magistrati sulla strada della verità giudiziaria e a distanza di tempo a liberare dall’infame accusa gli anarchici. Guido Lorenzon ha raccontato questa esperienza in Teste a carico (Mondadori 1976), ripubblicato nel 2005 con il titolo Piazza Fontana, la pista di Treviso (Giano 2005). 


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.