L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

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martedì 29 maggio 2012

ROMANZO DI UNA STRAGE (Marco Tullio Giordana, 2012) di Pino Bertelli




“Quella sera a Milano era caldo
Ma che caldo che caldo faceva
Brigadiere apra un po' la finestra
E ad un tratto Pinelli cascò.

Commissario io gliel'ho già detto
Le ripeto che sono innocente
Anarchia non vuol dire bombe
Ma eguaglianza nella libertà."...

La ballata del Pinelli, 1969
testo di G. Barozzi, F. Lazzarini, U. Zavanella, musica di J. Fallisi








I. Morte (per niente) accidentale di un anarchico

Le strade del cinema italiano sono lastricate di monumentali banalità contrabbandate come “storie sociali” o sceneggiati televisivi che mortificano al fondo l’immaginario collettivo... la domesticazione degli sguardi rende gli uomini stupidi, dipendenti da dispositivi di massa (cinema, televisione, fotografia, carta stampata, telefonia, internet, in parte) che li rendono incapaci di ragionare e li piegano alla rappresentazione politica del consenso elettorale... la dittatura finanziaria (banche, partiti, mercanti d’armi, “bottini” delle chiese monoteiste) pensa a sacralizzare gli entusiasmi della società consumerista  e l’organizzazione gerarchica del potere... tuttavia le giovani generazioni si prendono il diritto alla resistenza sociale e legittimano ogni forma insorgente che rigetta la servitù volontaria. Chiedono una società senza stato, senza potere politico né terrore chiesastico  e lavorano a nuove forme di democrazia partecipata, diretta o consiliare per la comunità che viene.
Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio Giordana tratta della strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre 1969 a Milano... di romanzato c’è molto, di strage di Stato, poco. I giornali hanno diffuso dibattiti, consensi, dissensi su questo film... i critici velinari  gli hanno assegnato le stellette secondo gli orientamenti politici o padronali... il pubblico non si è proprio scaraventato nelle sale cinematografiche a vedere la ricostruzione dei fatti... è sorprendente! Quando ci sono di mezzo storie di anarchia anche gli artisti più avvertiti riempiono le loro opere di lordure e non di purezze... sembrano non sapere che la verità e la giustizia sta al di là delle apparenze e non si accede alla bellezza se non in virtù della disobbedienza. Conoscere significa smascherare, disvelare, scuotere l’indifferenza generale, il passo conseguente è l’incinerazione di ogni forma di autorità. Per meglio comprendere Romanzo di una strage non è male ritornare (con un indignato flashback) alla strage di Stato della quale il film parla e gli anarchici non hanno mai archiviato.
Nel dicembre 1969 una bomba scoppia nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura (ore 16:37) uccidendo diciassette persone (quattordici al momento dell’esplosione) e ottantotto restano feriti. Una seconda bomba deposta nella sede della Banca Commerciale Italiana (Piazza della Scala) è rinvenuta inesplosa e la terza esplode a Roma (ore 16:55) all’ingresso della Banca Nazionale del Lavoro (via San Basilio), i feriti sono tredici. Tra le 17:20 e le 17:30 altre due bombe scoppiano a Roma... una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo del Risorgimento (Piazza Venezia), i feriti, quattro. In quel 12 dicembre, nell’arco di 52 minuti, si compiono cinque “oscuri” atti terroristici (secondo le veline dei servizi segreti). Sebbene queste aggressioni alle istituzioni siano opera di gruppi eversivi di estrema destra e servizi deviati dello Stato, la polizia politica individua i colpevoli tra le file degli anarchici.

sabato 26 maggio 2012

SOBRE EL VOLCÁN (bilingue), por Enzo Valls



Sobre los grises y marrones del humo claro y la piedra oscura de un cráter del volcán Masaya, se dibujaban nerviosos revoloteos verdes. «Aratinga strenua o loro verde del Pacífico», dijo el  guía.

«Fíjense cómo será de grande el anhelo de libertad de los seres vivos», sentenció alguien, «que estos animalitos prefieren buscarse la vida en este hábitat árido y hostil antes que en las confortables y bien nutridas jaulas del ser humano.» No había nada que agregar y todos asentimos en silencio.

Separado del grupo, un señor bastante mayor pero de aspecto juvenil, juntaba pequeñas piedras porosas levemente azuladas. «Demasiadas para un simple recuerdo del paseo», pensé, y le pregunté para qué lo hacía. «¡Business!», me respondió. «Cuando vuelvo a mi país las despacho por curativas y las vendo a 20 dólares cada una.» Y al ver mis cejas arquearse de asombro: «¡Pero no te preocupes, muchacho, que a ti te las dejo en 15!»

Lo dejé riéndose solo de su ocurrencia y descendí al valle, pensativo, esta vez yo separado del grupo. Allá abajo, también entre business y anhelos de libertad, la humanidad toda caminaba por el borde del cráter fumoso, gris y marrón, de un gigantesco volcán.  Pero casi nadie dibujaba revoloteos verdes.

Santa Fe - Argentina, 26 de mayo de 2012
(Recordando un viaje a Nicaragua, en 1984)

***
SOPRA IL VULCANO, di Enzo Valls

Sui grigi e i marroni del fumo chiaro e della pietra oscura di un cratere del vulcano Masaya, si insinuavano irrequieti svolazzi verdi. «Aratinga strenua, ovvero pappagallo verde del Pacifico», disse la guida.
«Pensate quant’è grande l’ansia di libertà degli esseri viventi», disse qualcuno, «che questi animaletti preferiscono trovar di che vivere in questo habitat arido e ostile piuttosto che nelle confortevoli e ben nutrite gabbie degli esseri umani.» Non c’era nulla da aggiungere e tutti assentimmo in silenzio.
Appartato dal gruppo, un signore piuttosto anziano ma dall’aspetto giovanile, raccoglieva piccole pietre porose lievemente azzurrine. «Troppe per un semplice ricordo della gita», pensai, e gli domandai perché lo faceva. «¡Business!», mi rispose. «Di ritorno nel mio paese le smercio come pietre guaritrici e le vendo a 20 dollari l’una». E vedendo arcuarsi i miei sopraccigli per lo stupore: «Ma non ti preoccupare, ragazzo, che a te le lascio a 15 dollari!»
Lo lasciai ridendo da solo della sua battuta e scesi a valle pensoso, questa volta io appartato dal gruppo. Anche laggiù, tra business e ansia di libertà, l’umanità intera camminava sull’orlo del cratere fumoso, grigio e marrone, di un gigantesco vulcano. Ma quasi nessuno insinuava svolazzi verdi.

Santa Fe - Argentina, 26 maggio 2012
(Ricordando un viaggio in Nicaragua, nel 1984)

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martedì 22 maggio 2012

SULLA FOTOGRAFIA DELL'INDIGNAZIONE, di Pino Bertelli

a tutti i ragazzi che sono scesi nelle piazze, si sono dati fuoco, sono stati uccisi, feriti, 
hanno preso a calci in culo i tiranni e i pagliacci della partitocrazia 
e hanno fatto della propria vita in rivolta un’opera d’arte.


“La collera non si attenua, 
le collere primitive risvegliano infanzie abbandonate.”
Gaston Bachelard


La fotografia autentica è fatta dello stesso dolore o della stessa bellezza di cui sono fatti i sogni... e non importa scomodare Shakespeare per comprendere che la grazia della fotografia è disincarnata nell’immaginazione libertaria... dove la verità  della fotografia cessa di essere principio, cessa anche di essere fine... la fotografia dell’indignazione (o della rivolta) è sempre legata al desiderio di bellezza e di grazia che si contrappongono alla stupidità partitocratica/mercantile contemporanea... la fotografia che non si affranca all’uomo che soffre (o a quello in rivolta) non vale nulla. Soltanto la fotografia autentica ha diritto alla bellezza... si tratta di rifiutare la cultura dell’ostaggio e aderire al negativo che la spezza... l’arte senza museo è nella strada... lì si trova il divenire della conoscenza e solo un’estetica sovversiva trasfigura il vero nella poesia o nella derisione dell’arte. Il pane degli ultimi è amaro, come la violenza dei padroni che violentano i popoli impoveriti e la falsità delle chiese monoteiste che sono complici di tutti i genocidi della storia.

La fotografia nasce libera, è la banalità del mercimonio che la rende stupida. Per fare la fotografia dell’ovvio e dell’ottuso basta un falso maestro o una falsa causa... sono gli stessi stilemi/simulacri delle tirannie dello spettacolo con i quali interi popoli sono tenuti in soggezione o violentati nella loro memoria e nella loro cultura... tuttavia la ruota della storia dell’infamia a volte si ferma dove si deve fermare e i popoli in rivolta insorgono con la bava alla bocca contro i loro affamatori... il mondo intero è in fiamme e l’auspicio è quello che l’insurrezione dell’intelligenza possa allargarsi là dove i diritti più elementari dell’uomo sono calpestati, derisi, soppressi nel sangue... la speranza è che la richiesta di democrazia e di bellezza che fuoriesce dalle rivolte meridiane, occupazioni di luoghi pubblici, sabotaggio delle tirannie finanziarie, disvelamento delle menzogne della politica istituzionale... contamini le democrazie consumeriste e attraverso la lotta di popolo (qualcuno dice di classe) gli operai, i precari, i disoccupati, i giovani, le donne e anche i cani bastardi... si riprendono il diritto di avere diritti e mordono alla gola i loro persecutori.

Foto Tano D'Amico
La fotografia della collera (o dell’indignazione) che circola in internet è una sorta di rivoluzione (non solo) telematica... è l’athanor della creatività del dolore dove ciascuno esprime il proprio dissenso e si affranca con le ondate di rivolta che investono l’intero pianeta. Russia, Cina e tutte le moderne forme di tirannia, incluse quelle più “soffici” dei governi occidentali, tentano invano di censurare la Rete, la contro-informazione smaschera i loro misfatti e le violenze perpetrate contro gli umiliati e gli offesi. La video/fotografia sgranata, informe, sfocata dei telefonini, macchine digitali, fotocamere usa e getta... è un’arma importante della rivoluzione telematica... la voglia di sapere, di conoscere, di vivere delle giovani generazioni, la bellezza creativa delle donne scende nelle piazze e mostra il dissenso contro le forche dell’autoritarismo... un’ondata indistinta di ribellione rifiuta le moderne forme di schiavitù, dichiara finita l’epoca della “buona condotta” e chiede l’avvento di un universo libero, egualitario e fraterno.
Il  nostro auspicio è che anche in Italia e ovunque l’uomo opprime un altro uomo e lo riduce a catena degli interessi economici colossali delle multinazionali, politiche di domesticazione sociale o terrorismi orchestrati dalle chiese monoteiste... si possa gridare la mia parola è no! e dalle ceneri di antiche sommosse popolari vedere nascere quelle spinte insurrezionali, quelle battaglie di strada che affrontavano a volto scoperto la disumanità di ogni sopruso. Il lavoro rende liberi alla Fiat come ad Auschwitz! Prima o poi torneranno le cicogne a nidificare sui nostri tetti e i vassalli della partitocrazia (sinistra inclusa) saranno presi a calci in culo e infilati nel postribolo della storia, dove meritano. La democrazia che non si usa, marcisce!
La fotografia, tutta la fotografia (argentica o numerica è la medesima cosa), incensa l’alienazione dominante e da una generazione all’altra di fotografi ciò che più circola nella fotografia dello spettacolo integrato è l’imbecillità del consenso e la celebrazione del successo in cielo, in terra e soprattutto nelle mostre museali che mercificano il culo di modelle insignificanti, le morti per fame dei bambini o le bombe di guerre “umanitarie”... certe immagini vezzeggiate da storici, critici, faccendieri della fotografia da parati, dovrebbero essere usate per sistemare le gabbie dei canili pubblici e gli autori mandati a spalare la merda... il discorso eterno e universale della barbarie passa sulla genuflessione dell’arte all’ordine costituito, poi il fucile e l’aspersorio regolano i conti con i dissidenti.
La fotografia dell’indignazione è ovunque... non importa essere fotografi per raccontare il dolore e la felicità di una sommossa, una rivolta o una rivoluzione... la disumanità cede il posto alla fotografia della rivolta che la denuncia e non c’è bastardo della politica o dell’arte che possa impedirlo... dove regnano la costrizione, il mercato, i dividendi delle banche, non c’è vita autentica. I governati sono solo una merce — nemmeno di pregio — dell’orgia consumistica che ha sconfitto il movimento operaio e uno strumento elettorale per perpetuare i privilegi degli oppressori in ogni anfratto della cosa pubblica. I falsi bisogni di consumo e garantismo di una condizione sociale miserevole... si sostituiscono alla gioia di vivere e le immagini da questa disfatta dell’umano sono tutte nei “consigli per gli acquisti” o nell’auto di grossa cilindrata presa a rate... quando il potere sancisce la tolleranza di tutte le idee, vuol dire che ha già legiferato l’intolleranza del prossimo atto barbarico. Le caste malavitose sistemate nei governi delle democrazie spettacolari fanno abitualmente uso dell’innocenza e si portano dietro i campi di sterminio con altri mezzi... i parassiti della politica giocano sporco ma restano impuniti (specie in Italia) e solo la scesa in campo delle giovani generazioni faranno loro ingoiare le false promesse, le menzogne elettorali, le ingiustizie sociali che hanno portato un intero pianeta alla disperazione.

La bellezza convulsiva della fotografia rubata e disseminata in Rete ha lo scopo di far conoscere la realtà feroce di ogni potere e il disprezzo dei ribelli che lo fanno crollare... la fotografia della rivolta è una scrittura popolare che conduce a uno stato d’animo nascente, è una filosofia dell’interrogazione diretta ed ha la capacità di tessere nuovi immaginari (non solo) estetici, etici, epici... ha anche l’ardire di mostrare che ogni potere è di carta straccia e ai popoli insorti bastano cinque minuti di autentica libertà per far crollare il Palazzo (con i saprofiti che ci sono dentro)... nessuno vuole governare né essere governato in questo modo e a questo prezzo... in una democrazia autentica, partecipativa, diretta... i cittadini possono fare a meno di capi, generali, preti, bancari, poliziotti... perché tutto è di tutti, nessuno è ricco perché nessuno è povero, e la ricchezza è ridistribuita per il bene comune. Tutto qui!
La fotografia dell’indignazione riporta all’innocenza del divenire, risveglia l’antica ricerca della felicità dell’uomo e gli consente di riviverla... la fotografia, sotto ogni taglio, è una manifestazione dell’anima e rende sacro o profano ogni soggetto che suscita l’interesse del fotografo... il sognatore di immagini è un filatore di sentimenti e di passioni o non è nulla... la fotografia autentica è un lingua senza generi, esprime una fenomenologia del fantastico o del profondo e conferisce a una poetica eversiva dell’esistente quel fare-anima che è proprio a tutte le rivendicazioni sociali... anche quando si diversifica, la fotografia resta una sola e quando è grande esprime la memoria (ferita) di un’epoca. 

18 volte maggio 2012

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martedì 15 maggio 2012

LA BATTAGLIA DEI PAPELITOS, di Enzo Valls


In ricordo del disegnatore Carlos Loiseau, in arte Caloi, scomparso il passato 8 maggio ad Adrogué (provincia di Buenos Aires).



Vuole la storia popolare del calcio argentino che, nel 1961, un gruppo di tifosi ebbe l’idea di organizzare un particolare festeggiamento dell’ingresso in campo della propria squadra del cuore - il Quilmes -, consistente in lanciare, ogni simpatizzante, una certa quantità di papelitos (piccoli pezzi di carta), in modo da creare una copiosa pioggia di coriandoli che scendesse dagli spalti in modo vistoso. L’idea era bella ma difficile da realizzare, anche se, per la verità, ai tifosi del calcio sembra che nulla risulti impossibile: bisognava scovare tonnellate di carta, poi tagliarla in rettangolini più o meno regolari, distribuirli e, inoltre, spiegare a ogni simpatizzante cosa dovevano fare e in quale momento. Per la carta ebbero un’altra bella pensata: chiesero alla famosa fabbrica di birra locale, omonima della città e della squadra, se per caso non avessero delle etichette della birra ormai in disuso. Ne avevano circa cento milioni, e potevano dargliele, ma gli amministratori della birreria rimasero di stucco quando questo gruppo di tifosi dissero loro che le avrebbero prese tutte.
L’idea fu un successo e piacque così tanto - prosegue la leggenda - che presto questa pratica dilagò non soltanto tra le squadre argentine ma in molti altri paesi, soprattutto latinoamericani. E anche se, spesso, l’inondazione del campo di gioco con queste centinaia di migliaia di pezzi di carta creava alcune difficoltà e ritardava l’inizio delle partite, a nessuno era venuto in mente di pensare che fosse qualcosa da abolire. Tanto meno per il presunto fatto di offrire una cattiva immagine degli argentini.
Ci volle l’arrivo dell’ultima dittatura e la vetrina dei Mondiali ’78 per tentare, non di vietare questa pratica, poiché era ovvio che sarebbe stato impossibile, bensì di montare una campagna che, unita ad altre che presentavano l’Argentina del terrore di Stato come il Paese delle Meraviglie, convincesse il popolo argentino a comportarsi più civilmente davanti agli occhi del mondo. Il portavoce ideale di questa campagna era il più famoso cronista di calcio dell’epoca, José M. Muñoz, che assunse questo ruolo con grande impegno, che andava oltre i Mondiali e oltre il calcio, giacché l’anno successivo si fece portavoce, assieme ad altri giornalisti, della campagna che tentò di impedire la visita in Argentina del Comitato internazionali sui Diritti umani de la OEA.

E se Muñoz era il più famoso cronista sportivo argentino dell’epoca, il personaggio di strisce umoristiche più celebre era Clemente, un simpatico e surreale essere vagamente somigliante a un papero, ma senza ali, né mani, le cui caratteristiche fondamentali, oltre ad incarnare alcuni dei “vizi” argentini più popolari, era l’adorazione per le donne prosperose, le olive (diventate personaggi pure esse) e, naturalmente, il calcio. Il suo disegnatore, Carlos Loiseau, in arte Caloi, con grande intuito e non poco coraggio, capì che era lui, o meglio, Clemente, chi doveva rappresentare la voce che, in modo molto indiretto ma inequivocabilmente popolare, si esprimeva attraverso questi lanci di papelitos. Per quasi tutto quel fatidico ’78 ebbe luogo questa strana ma seguitissima battaglia: da un lato un cronista sportivo schierato con l’ordine e la disciplina benpensante e militaresca, e dall’altra un buffo personaggio dimostratosi da subito più di acciaio che di carta, nonostante la sua caratteristica indolenza. Per Clemente il cognome del suo avversario passò ad essere “Murioz”, gioco di parole con il verbo morir, e dalla striscia domenicale incominciò la sua scherzosa arringa a favore del popolare e tipico festeggiamento dei papelitos.
La polizia arrivò al ridicolo di voler confiscare i giornali che ogni tifoso portava allo stadio Monumental il giorno dell’inaugurazione dei Mondiali, ma quando la squadra argentina entrò in campo e i papelitos scoppiarono in una pioggia albiceleste, tutti capimmo che Clemente aveva vinto non soltanto sulla carta, ma anche sull’erba. A dargli una mano ci furono i cartelloni luminosi dello stadio, evidentemente non controllati dall’AFA (Associazione argentina del calcio), sui quali apparì l’immagine di Clemente e la scritta: “Tiren papelitos, muchachos”. Muñoz non ebbe altro rimedio che riconoscere la sconfitta e, non ricordo se in quella partita inaugurale o in un’altra successiva, davanti al sempre più crescente fenomeno, disse qualcosa come: “E va bene, ragazzi, lanciate questi benedetti papelitos…!” Clemente aveva condotto quella che è stata forse la prima battaglia vincente contro la dittatura.


L’8 maggio Caloi ci ha lasciato per sempre. Aveva 63 anni. Clemente non aveva età e forse non ce l’avrà mai, perché continuerà ad incarnare eternamente lo spirito vagamente anarchico ma mai individualista del popolo più vero. A entrambi va il mio commosso ricordo.

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mercoledì 9 maggio 2012

VICTOR SERGE: MEMORIA DI MONDI PERDUTI, di Claudio Albertani

In ricordo di Vladimir Kibal'čič (1920-2005),
meglio conosciuto come Vlady,
che dipinse le ossessioni di suo padre,
Viktor Kibal'čič (1890-1947),
meglio conosciuto come Victor Serge.

Victor Serge nei primi anni '20
A oltre sessant'anni dalla prima edizione, pubblicata a Parigi nel 1951, le Mémoires d'un révolutionnaire hanno superato la prova del tempo. Ecco un testo indispensabile per capire la tragedia delle rivoluzioni sconfitte che è, al tempo stesso, un classico della letteratura e una commovente testimonianza umana. Fin dalle prime pagine, quando emerge quel «mondo senza evasione possibile, dove l'unico rimedio era lottare per un'evasione impossibile», le tappe del dramma si succedono in un ordine implacabile. Il finale era implicito nel principio? Serge crede di no e non accetta il ruolo di vittima: «Una necessità che assomiglia alla complicità - annota - lega frequentemente la vittima al torturatore, il martire al carnefice». Come Nietzsche, sua passione di gioventù, e come Benjamin, che conobbe di sfuggita, l'Autore esprime la necessità di tornare al passato per raccoglierne l'eredità e le speranze perdute. La parola «destino», da lui spesso usata, non implica la fatalità, né esclude la volontà. Quando parla di «noi» non annulla l'individuo, ma si riferisce a un «io» molteplice e collettivo che riassume le passioni e le speranze della sua generazione, oltre ogni espressione di parte. Il risultato è una scrittura polifonica, volta a riscattare la «memoria di mondi perduti», come recitava il titolo originale pensato da Serge, troppo modesto per arrogarsi l'attributo di «rivoluzionario». Alla fine il libro fu pubblicato postumo con il titolo scelto da suo figlio Vlady, autore del magnifico quadro che figura in copertina dell'edizione curata dal mio vecchio amico Roberto Massari.

Le radici libertarie
Scrittore francese di sangue e russo di spirito, romanziere, poeta, storico, giornalista e traduttore, Viktor-Napoléon L'vovič Kibal'čič - alias Victor Serge, Le Rétif, Le Masque, Ralph, R. Albert, Victor Stern, Viktor Klein, Aleksej Berlowskij, Sergo, Siegfried, Gottlieb, V. Poderewskij e qualche altro pseudonimo - nacque in esilio, a Bruxelles, il 30 dicembre 1890, e morì, sempre in esilio, a Città del Messico, il 17 novembre 1947. Visse il mondo ipocrita della Belle Époque, l'esaltazione comunista degli anni Venti e l'incubo totalitario della «mezzanotte del secolo». Attraversò le correnti più importanti del movimento operaio: il socialismo riformista, il comunismo anarchico, l'individualismo, l'anarcosindacalismo, il bolscevismo e il trotskismo, senza mai abbandonare una spiccata sensibilità libertaria. Trascorse una decina d'anni di prigionia in diversi paesi, partecipò a tre rivoluzioni - la spagnola (1917), la russa (1919-20) e la tedesca (1923) - e fu attivo anche in Belgio, Francia, Austria e Messico. Sopravvisse al Gulag e alla barbarie nazista, e fu tra i primi a qualificare l'Urss come un regime totalitario.
Autore di culto, benché quasi sconosciuto al grande pubblico, non sviluppò un sistema dottrinale né lasciò una scuola di pensiero. Non fu neppure un intellettuale nel senso tradizionale; in ogni tappa critica cercò di dare alle esigenze dello spirito uno sbocco nell'azione. La sua attualità risiede nella riflessione traboccante, letteraria e poetica ancor più che teorica sulla tragedia di una rivoluzione che divora se stessa. Nelle centinaia di pagine che dedicò a questo tema mantenne la freddezza dell'analista distaccato conservando, al contempo, la passione militante e la certezza di un avvenire migliore.

lunedì 7 maggio 2012

CRISTIANESIMI VII, di Pier Francesco Zarcone

IL TEATRO DELL’ECUMENISMO: RECITE VACUE SENZA UN FINALE

Introduzione

Ogni epoca ha le sue mode, dal vestiario all’ideologia, di incidenza e durata variabili. Oggi - per quanto interessati gruppi di potere facciano soffiare i venti dell’intolleranza religiosa in nome del conflitto di civiltà - fra Cristiani è ancora “politicamente corretto”, anzi correttissimo, dichiararsi “ecumenici”. I non-ecumenici vengono visti come reazionari e passatisti, nemici della fraternità e della pace. Strano che nessun credente li abbia tacciati di essere animati dal Diavolo (simbolo massimo di divisione, dal greco dhiavallo, divido). Innanzi tutto vediamo di cosa stiamo parlando.

Il movimento ecumenico e le sue strutture

Paolo VI e Atenagora patriarca di Costantinopoli
Si autodefinisce “ecumenico” (dal greco ikuméne, mondo abitato) il movimento interecclesiale che si propone di operare per il riavvicinamento fra i Cristiani della differenti Chiese e confessioni con l’obiettivo della loro unità a partire dalla comune fede trinitaria. L’impulso operativo venne, a partire dal secolo XIX essenzialmente dalla Chiesa Anglicana, con una fitta serie di iniziative culminate nel 1948 con la costituzione del “Consiglio Mondiale delle Chiese” (Wcc), detto anche “Consiglio Ecumenico delle Chiese” (Coe). Con sede a Ginevra, riunisce 349 Chiese: quelle della Comunione Anglicana, la maggior parte delle Chiese ortodosse, parecchie Chiese protestanti, alcune Chiese battiste, varie Chiese luterane, metodiste e comunque riformate, alcune pentecostali, Vetero-cattoliche e una serie di Chiese indipendenti. Non ne fanno parte la Chiesa avventista, l’Esercito della Salvezza e la Chiesa cattolica. Quest’ultima, però, è attualmente membra di Commissioni del Wcc,tra cui l’importante Commissione teologica “Fede e costituzione”.
Nel 1960 fu istituito il “Segretariato per l'Unità dei Cristiani” (nel 1988 trasformato in “Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani” e oggi denominato “Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani”), e poi la netta chiusura della Chiesa cattolica verso il movimento ecumenico fu superato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa di Roma non ha aderito nemmeno alla “Conferenza delle Chiese Europee” (CEC) creata nel 1959 e di cui fanno parte 125 tra le maggiori Chiese protestanti d’Europa, Ortodosse, Anglicane e Vetero-cattoliche., ma nel 1971 essa ha costituito il “Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee” (Ccee) che collabora con la Cec in un Comitato Congiunto. Su questa scia in alcuni paesi sono nati i “Consigli nazionali delle Chiese”.
Questo è in sintesi il quadro istituzionale del movimento ecumenico.

Problemi generali del dialogo ecumenico

Il riavvicinamento fra le Chiese presenta una genericità di contenuto che poi necessariamente gli interessati tendono a specificare, e non sempre in modo univoco. Al riguardo sono individuabili almeno due tendenze, se limitiamo il discorso all’ambito cristiano; cosa che in questa sede è meglio fare sia per problemi di spazio sia per non complicare il discorso.
Una prima tendenza, tutto sommato maggioritaria, punta a realizzare attraverso il dialogo e il confronto obiettivi apparentemente modesti, ma in realtà non sempre di facile concretizzazione: maggiore conoscenza reciproca il più possibile depurata da pregiudizi, maggior rispetto reciproco e forme di collaborazione pratica in ordine a tutta una serie di problemi - spirituali e non - da cui l’umanità è attualmente travagliata, sì da poter essere le Chiese punti di orientamento e riferimento. La seconda tendenza ufficialmente è della Chiesa cattolica: andare al di là del miglioramento relazionale e puntare verso una unità ecclesiale piena e organica. Ovviamente sotto il manto del Papa. Si tratta di un particolare che resta sempre sullo sfondo, quand’anche i riflettori dell’ecumenismo non lo mettano al centro della loro luce.
Indipendentemente dall’una o dall’altra delle citate tendenze, sta di fatto che esse implicano lo svolgimento di un dialogo teologico che effettivamente esiste e continua, seppure teologi delle varie parti (non tutti) vi lavorino senza grandi risultati visibili, al di là di conferenze congiunte, documenti comuni che lasciano le cose come stanno. Semmai - il che non è certo di troppo - si è instaurata una maggiore buona educazione reciproca, quanto meno sul versante della forma e quand’anche ciò non escluda in assoluto i colpi bassi. Tuttavia le difficoltà persistono.

sabato 5 maggio 2012

RAGAZZI, INCAZZATEVI!, di Pino Bertelli

Conversazione sotto la luna nuova/rossa di Genova tra Don Andrea Gallo e Pino Bertelli[1]




I.         Pino Bertelli: Andrea, l’indignazione montante di questi ragazzi, delle giovani generazioni in rivolta ovunque c’è oppressione e malgoverno... questi ragazzi ai quali, come tu dici, “hanno ucciso il futuro”, che a me sembra giusta, importante, una protesta radicale fuori dai partiti e dalle chiese... questa indignazione generazionale, appunto, possa sfociare in un’indignazione più larga e mettere in pericolo l’egemonia della casta politica?... I politici fanno i furbi... sono conniventi con gli affari sporchi (mafie, criminalità finanziaria, smantellamento della società civile) e fanno del parlamento il luogo dove scambiare e intrecciare poteri e privilegi, non credi?”....

I.         Don Andrea Gallo:  Una minoranza di giovani e giovanissimi è in movimento... Sono intelligenti, sono entusiasti, non fermiamoli! Sono il nuovo!... sono i protagonisti della partecipazione democratica al bene comune...  i ragazzi e le ragazze approfondiscono i temi della politica, della cultura, della religione con spirito di libertà e di giustizia... Avrebbero bisogno di rispetto per la loro esistenza e resistenza... della presenza di tutte le agenzie educative (famiglia, scuola, chiesa, partiti, mass-media) ed iniziare il cammino di resistenza e liberazione... di rifiuto dell’economia globalizzata e dei potenti che diccono che questo (il loro) è l’unico mondo possibile... Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Organizzazione del commercio... la società opulenta sposta i confiuni della povertà e crea nuove marginalità, nuovi poveri... porta verso la catastrofe ecologica e umana... occorre muoversi verso una solidarietà liberatrice... come diceva il grande pedagogista Paulo Freire: “Nessuno si libera da solo. Nessuno libera un altro. Ci si libera tutti insieme”.

II.        Pino Bertelli: Solo quando gli oppressi prenderanno coscienza della propria condizione di oppressi, potranno nascere momenti di dissidio profondo e rigettare le illusioni dei predicatori tristi della politica... la collera dei poveri, dei migranti, degli ultimi avanza ai quattro angoli della terra e gli affamatori non potranno sempre farla franca...

II.        Don Andrea Gallo: Hai ragione, Pino, il potere quando si allontana dalla Costituzione uscita dalla Resistenza... tradisce la nostra storia... [Pino: la democrazia non si esporta con le armi, la democrazia che non si usa marcisce]... il potere è sempre identico a se stesso, sia quando spara nelle strade, sia quando bombarda città e villeggi per “motivi umanitari”, sia quando licenzia migliaia di lavoratori, quando affama i pensionati e privatizza la sanità, la scuola, quando nega il diritto alla casa, quando distrugge l’ambiente, quando chiude le frontiere alle minoranze, quando abbandona i detenuti, quando criminalizza il diverso... c’è grande voglia di democrazia e di bellezza nelle strade...

III.      Pino Bertelli: La politica italiana è affetta da cretinismo cronico (inclusa la sinistra)... i politici non lavorano per il bene comune ma per arricchire le proprie tasche... si ricordano della gente soltanto il giorno delle elezioni poi tornano ai loro affari, alle loro caste, alle loro cosche... non ti sembra?... Ovunque la sovranità popolare è calpestata, derisa, ghettizzata... i politici sono dei feudatari che trattano i loro servi a colpi di decreti... quando occorre, ci pensa la polizia a far rispettare leggi inique e i ricatti del potere finanziario...

III.      Don Andrea Gallo: La sovranità popolare viene prima del mercato, degli affari di banca, delle corruzioni a macchia d’olio che imbrattano la politica e i politici... Bisogna ripartire dagli ultimi... la forza dei movimenti non va dispersa, bisogna riappropriarsi del senso autentico dell’essere umano, partendo dagli esclusi... dobbiamo riprenderci i valori della Resistenza, creare una rete possibile di presidi, centri sociali, movimenti, sindacati, cooperative, lavoratori, uomini e donne che vogliono scegliere una democrazia insorgente, dal basso, passare dall’indignazione alla proposta concreta di democrazia partecipata... un nuovo mondo è possibile a partire dai giovani!... giovani, incazzatevi!...

IV.      Pino Bertelli: Anche la chiesa non scherza in fatto di demagogia... ovunque nel mondo i diritti umani sono calpestati impunemente e le gerarchie ecclesiastiche che fanno: tacciono!... la chiesa dovrebbe essere dei poveri e non dei ricchi, mi sembra di aver letto nei messaggi evangelici... la chiesa dovrebbe far sentire la sua voce e schierarsi dalla parte della pace, della verità, della giustizia, dell’amore, della libertà e non appartenere  al protettorato del pregiudizio... l’obbedienza non è mai stata una virtù, non pensi?...

IV.      Don Andrea Gallo:  Se la gente si allontana dalla chiesa (e io stesso mi metto in prima fila) non sarà perché noi cristiani ci siamo allontanati dal Vangelo di Cristo...  nostro compito è dar da mangiare all’affamato, vestire l’ignudo, accogliere lo straniero... Gesù diceva: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia” e, ancora, “Beati i perseguitati per cause di giustizia”... Bisogna ripartire da noi stessi, accettare di essere tutti un po’ più poveri, che non è poi così grave, abituarsi a rinunciare al lusso e al potere, sconfiggere i pregiudizi... e in tutto questo anche la chiesa ha molte, troppe responsabilità...  Èinstein lo diceva: “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”... è tempo di resistenza, di partecipazione alla cosa pubblica... bisogna cacciare i mercanti del Tempio e fare del primato della coscienza personale il primo passo per giungere a scelte libere e laiche, per il bene di tutti, senza discriminazioni... l’etica viene prima della fede...

V.        Pino Bertelli: Le giovani generazioni sono state spossessate e defraudate del loro divenire... la classe politica dominante (le sinistre stanno al gioco giocato dei potenti) ha mortificato le loro speranze di giustizia sociale... i parlamentari italiani sono i più numerosi e più pagati del mondo e impediscono la nascita di un’autentica democrazia partecipata... i “trafficanti di poteri e di partiti”, colme tu dici, sono i cani da guardia dei centri di potere (il capitale internazionale, la borsa, le multinazionali)... e si ergono a possessori dell’unica verità che conoscono: quella del mercato... sono i veri portatori di miserie profonde, colonizzazioni violente, gli affamatori dell’intera umanità... e pensare che c’è ancora chi crede nelle loro chiacchere televisive... invece di buttarli nelle cloache dalle quali provengono...

Don Andrea Gallo: I giovani sono mortificati da una situazione politica che li discrimina a favore di vecchi burocrati del potere che non vedono le capacità sociali, le speranze, le possibilità di coesione sociale con le quali chiedono il rinnovamento della società... uccidono il loro futuro... il problema è sempre lo stesso... i drogati del potere impediscono l’incontro con l’altro, perché ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità: fargli la guerra, isolarsi dietro un muro o stabilire un dialogo liberatore... del resto, il Capitalismo ha sempre avuto due obiettivi primari: distruggere le istanze collettive, cioè lo stare insieme, e distruggere l’essere in sé, cioè la coscienza critica di ognuno di noi, con ragioni ben precise; dove non c’è tessuto sociale si riesce a fare quello che si vuole... l’aveva già detto Antonio Gramsci, rivolgendosi ai giovani: organizzatevi, abbiamo bisogno del vostro entusiasmo; agitatevi, abbiamo bisogno della vostra forza; studiate, abbiamo bisogno della vostra intelligenza per rifondare la politica e ricostruire la democrazia...  giovani, incazzatevi!





[1] Il brano qui riportato è un frammento di una lunga conversazione sui giovani, democrazia, resistenza e solidarietà liberatrice, tra Don Andrea Gallo e Pino Bertelli, avvenuto sotto la luna nuova/rossa di Genova, 25 volte gennaio 2012, 24,30 — 4,00, nell’archivio di Don Andrea Gallo. È l’augurio di un prete “evangelicamente anarchico” per l’avvento di un’indignazione di massa che porti alla nascita di una possibile “primavera italiana”. Come sa anche l’ultimo dei bambini massacrato dalle bombe delle “guerre umanitarie”, il profumo dei gelsomini è in grado di mutare il corso delle costellazioni. [Ndr.: fa parte di un progetto di libro tratto da molte conversazioni tra “il prete da marciapiede e il fotografo degli ultimi”, avvenute nell’arco di qualche anno, in macchina, a tavola o nell’archivio di Don Gallo, nelle notti  svergognate di Genova].

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mercoledì 2 maggio 2012

35 AÑOS DE LAS MADRES DE PLAZA DE MAYO, di Enzo Valls


Sigamos siendo locos, argentinos

Alejandra Ravelo, Uri Tornai, Ramona Maldonado, Otilia Acuña y Celina "Queca" Kofman 

«Lo irracional, lo inesperado, la bandada de palomas, las Madres de la Plaza de Mayo, irrumpen en cualquier momento para desbaratar y trastocar los cálculos más científicos de nuestras escuelas de guerra y de seguridad nacional. Por eso no tengo miedo de sumarme a los locos… (…) Sigamos siendo locos, madres y abuelitas de la Plaza de Mayo, gentes de pluma y de palabra, exilados de dentro y de fuera. Sigamos siendo locos, argentinos: no hay otra manera de acabar con esa razón que vocifera sus slogans de orden, disciplina y patriotismo. Sigamos lanzando las palomas de la verdadera patria a los cielos de nuestra tierra y de todo el mundo
Julio Cortázar, «Nuevo elogio de la locura» (1982)
del libro Argentina: años de alambradas culturales


Recuerdo que cuando leí estas palabras, inmediatamente se me ocurrió un estribillo con una precisa melodía que decía: «Sigamos siendo locos, argentinos / sean eternos los laureles que supimos conseguir». Aquel estribillo nunca llegó a desarrollarse como una canción completa, pero vuelve muchas veces a mi memoria ante determinadas situaciones. Indefectiblemente volvió el 30 de abril, en el 35º aniversario de esa gran “locura” argentina, nacida del amor, la desesperación y la impotencia de algunas pocas madres ante la desaparición de sus hijos y la falta de respuestas de parte de las autoridades militares sobre sus paraderos.
Que Videla y compañía no dieran respuestas tenía su lógica, ya que el golpe dado trece meses antes tenía entre sus objetivos eliminar a lo mejor de la militancia política de aquellos años. Menos lógico, para aquellas madres y en aquel momento, era que la Iglesia también callara. La pregunta de Violeta Parra («¿Qué dirá el Santa Padre que vive en Roma / que le están degollando a sus palomas?») una vez más contenía en sí misma la respuesta.  
Pero esas madres no estaban para poesía ni para resignaciones. Con una mezcla de audacia e ingenuidad, que con el tiempo, sumada a la testarudez, se demostró imbatible, un primer grupo de madres se dirigió a la Plaza de Mayo con la intención de llamar la atención y ser recibidas por las autoridades del gobierno de facto. Las puertas de la Casa Rosada continuaron cerradas para ellas y la policía les ordenó que circularan y ellas lo hicieron. Decidieron volver todos los jueves. Casi sin proponérselo habían nacido las rondas.

Otilia Acuña y Queca Kofman
A la semana siguiente la voz se había corrido y otras madres acudieron a la Plaza. La soberbia militar las bautizó como las “locas de Plaza de Mayo”. También ellas, como sus hijos, tenían que ser “invisibilizadas” de alguna manera. Pero a ellas se les ocurrió ponerse un distintivo bien visible: un pañuelo blanco en la cabeza hecho con la tela de los pañales que habían usado sus hijos. Pronto en otras ciudades se comenzó a imitar estas rondas. Ahora esas madres ya eran las Madres de Plaza de Mayo. En el mundo entero comenzaron a ser más conocidas y admiradas que en su propio país, en el que funcionaba a la perfección ese manto de censura, desinformación y terror al que Julio Cortázar, en el mismo libro antes citado, comparó con un colador que «funcionó deliberadamente al revés», haciendo que a la gran mayoría de los argentinos les tocara «beberse el agua tibia de los espaguetis».
Otros deliberados coladores llegaron en “plena democracia”: esta vez quedaban en el colador la verdad sobre los crímenes de lesa humanidad y a los argentinos les tocaba beberse el agua tibia (y amarga) de la “obediencia debida” y el “punto final”, de las “felices pascuas” y “la casa en orden”. 
Celina "Queca" Kofman
Aunque mucho falta por hacer y, como bien dijo ayer en su breve discurso la inefable Celina “Queca” Kofman en la Plaza del Soldado (Santa Fe), muchos genocidas se están muriendo en la casi total impunidad, no es poco lo que se ha conseguido. En especial, como la misma Queca y otras Madres en otros actos conmemorativos han subrayado, su lucha ha parido nuevos hijos que no renunciarán fácilmente a la verdad y a la justicia, a la verdadera democracia y a la libertad. Ni a las “locuras” buenas, las que intentan de verdad “subvertir” un sistema que, si bien está lejos de ser derrumbado, cada vez hace  más evidentes sus límites y sus contradicciones.

Fotografías: Enzo Valls
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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.