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mercoledì 21 agosto 2013

I FRATELLI MUSULMANI, di Pier Francesco Zarcone

Per saperne di più
Essere noti non vuol dire essere anche conosciuti; considerazione che si attaglia perfettamente ai Fratelli Musulmani. Conoscerli - al di là del saperli islamici radicali - contribuisce meglio a una maggiore comprensione delle dinamiche egiziane di questi giorni. In proposito si ricorda che comprendere non è sinonimo di condividere.

Le origini
Alla base del contemporaneo radicalismo islamico - fenomeno essenzialmente sunnita - vanno annoverati il Wahhabismo (dominante nell’Arabia Saudita e da essa poi diffuso nel resto del mondo islamico) e il movimento dei Fratelli Musulmani di origine egiziana. La Società dei Fratelli Musulmani (tamii’at al-ikhwaan al-muslimuun), spesso indicata solo con la denominazione Fratelli Musulmani (ikhwaan al-muslimuun), oppure solo i Fratelli (al-ikhwaan), è l’organizzazione diventata (insieme al Wahhabismo) una specie di lievito per le ondate di radicalismo religioso iniziate dopo gli anni ’60 del secolo scorso. Venne fondata nel 1928 nell’Egitto occupato dai Britannici a opera di un insegnante, al-Hasan al-Bannaa (1906-1949), come strumento della reazione islamista alle coeve e forti spinte occidentalizzanti, volto a dare vita alla mobilitazione di una massa di credenti di stretta osservanza per bloccare i movimenti di riforma e instaurare un ordine sociale considerato strettamente islamico. Quasi dieci anni prima in Egitto c’era stata la cosiddetta “rivoluzione del 1909”, a carattere strettamente laico. Estesasi a tutto il paese (Sudan incluso) contro gli occupanti britannici. Vi parteciparono elementi di varie classi sociali (studenti, impiegati pubblici, commercianti, contadini, operai, cristiani e anche esponenti religiosi). Ad accendere la miccia era stato l’esilio comminato al leader nazionalista Sa‘d Zaghlūl Pasha e ad altri membri del partito liberale Wafd. Nel ’22 i britannici dovettero concedere l’indipendenza (solo formale, però) all’Egitto e consentirono che venisse promulgata una Costituzione. La Gran Bretagna tuttavia rifiutò di riconoscere la sovranità dell'Egitto sul Sudan e di ritirare le sue forze armate dalla zona del Canale di Suez.
La Fratellanza sorse come reazione religiosa anche in rapporto alla rivoluzione del 1909. E fu altresì reazione politica. Quasi subito l’organizzazione manifestò idee di destra e simpatie per i nazismo. La forte ammirazione di Hasan al-Bannaa per le SA naziste gli fece adottare per i suoi seguaci camicie di uno stesso colore - nella specie il verde islamico - e alle loro formazioni fu dato il nome di kataib, «falangi».
Nella Fratellanza Musulmana sono sempre rimaste l’opposizione alla laicità, la chiusura in un’interpretazione letterale del Corano, la difesa di istanze a tutela dei ceti popolari mischiata con la prospettiva di una ben maggiore islamizzazione della società e, dal punto di vista tattico, le manovre verso i vertici politici ed economici della società e verso il basso con nuclei islamisti collegati con le moschee. Fin dagli esordi al-Bannaa si impegnò personalmente sul piano sociale, iniziando con la promozione della dignità e del riscatto dei lavoratori della zona del Canale di Suez, ovviamente in base a valori islamici. La sua organizzazione crebbe con una certa rapidità ed ebbe un ruolo importante in seno al movimento nazionalista egiziano. Il suo motto: “Allah è il nostro obiettivo, il Profeta è il nostro capo, il Corano è la nostra legge, il jihād è la nostra via, morire nella via di Allah è la nostra suprema speranza”.
Bannaa fu ucciso al Cairo a febbraio del 1949. Sarebbe stato il futuro Presidente Anwar as-Sadat, all'epoca ufficiale nei servizi segreti del re Faruk a catturarlo e ucciderlo.
La seconda fase della storia di questa organizzazione può essere datata dal 1952, quando gli “Ufficiali Liberi” organizzati dal colonnello Gamaal Abd an-Nasser (1918-1970) - ma apparentemente sotto la guida del generale Muhammad Naghib (1901-1984) - rovesciarono la corrotta monarchia di Faruq I (1920-1956) e instaurarono la repubblica. Messo da parte Naghib, Nasser prese le redini del potere e divenne Presidente della Repubblica. Pur essendo un devoto musulmano, egli non aveva niente del fanatismo dei Fratelli e non intendeva lasciare spazio politico alla Fratellanza, ma anzi voleva un Egitto in cui non vi fosse posto per pregiudizi religiosi e discriminazioni su tale base. Lo scontro con i Fratelli Musulmani – che combattevano l’emancipazione femminile, il teatro, il cinema, le canzonette, il gioco, per non parlare della musica e del ballo – era nella logica delle cose.
In quel tempo i Fratelli formavano una realtà poderosa, con almeno mezzo milione di aderenti, infiltrazioni in vari settori della società e finanziatori occulti; la loro espansione era arrivata in Siria, Giordania e Marocco. Tutt’altro che alieni dalla violenza, disponevano anche di formazioni paramilitari e avevano affiliati anche nel movimento degli Ufficiali Liberi con loro affiliati (fra cui Anwar as-Sadat). Caduta la monarchia puntarono decisamente alla conquista violenta del potere, dando luogo a una serie di omicidi di avversari politici. Ma Nasser non aveva nessuna intenzione di farsi scalzare. Nel 1954 i Fratelli Musulmani organizzarono un primo attentato contro di lui, che li colpì con immediatezza e decisione: sciolse la Società dei Fratelli Musulmani, scatenò un’ondata di arresti (decine di migliaia) e tutti i capi della Fratellanza furono condannati a morte. Una seconda ondata di repressione si scatenò dopo un ulteriore fallito attentato contro di lui verso la metà degli anni Sessanta, e anche in questa occasione molti dirigenti del movimento, fra cui l’ideologo Sayyid Qutb (1906-1966), successore di al-Bannaa, furono impiccati.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni
La sconfitta egiziana nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 creò una crisi di consenso verso il regime laico di Nasser, favorendo la ripresa dei Fratelli Musulmani, che dal 1969 avevano abbandonato le più radicali posizioni di Qutb inclusa la pratica della lotta armata. Il successore di Nasser, Anwar as-Sadat (m. 1981) – definito da Igor Man “un corrotto sulla terra” - optò per una politica di apertura verso i movimenti islamici al fine di contrastare le organizzazioni di sinistra. Tuttavia formalmente non legalizzò i Fratelli Musulmani, i quali in quel periodo ebbero una perdita di consensi in favore di realtà più estremiste (da cui proverranno gli uccisori di as-Sadat). Con il nuovo presidente Hosni Mubarak, dal 1984 i candidati dei Fratelli cominciarono a partecipare alle elezioni a titolo individuale, e nella società egiziana l’organizzazione conobbe una nuova fase espansiva acquisendo adepti anche fra i professionisti urbani. Il ricorso alla lotta armata era stato messo nel cassetto, a differenza di altri gruppi islamisti egiziani che lo propugnavano e praticavano riprendendo le teorie del defunto Sayyid Qutb. 
Già in questo periodo la stampa egiziana dava notizia di relazioni in atto fra membri del Congresso degli Stati Uniti ed esponenti dei Fratelli Musulmani, di modo che era naturale l’impressione che Washington stesse considerando la Fratellanza come possibile alternativa al vigente, e alleato, regime egiziano.
Con la sostanziale quiete offerta da Mubarak i Fratelli sono stati in grado di penetrare nei settori popolari attraverso una gamma di attività sociali che vanno ben oltre l’organizzare gruppi di preghiera e di studi religiosi, riguardando anche l’insegnamento, l’assistenza sanitaria e altre iniziative socialmente utili il cui valore pratico è accresciuto dal fatto di riempire, in contesti abbandonati a sé stessi dai governi locali, un vuoto di servizi oggettivamente necessari. Un vuoto materiale, ma anche un vuoto identitario. Infatti, una certa “modernità esistenziale”, più che altro negativa e tipica delle società occidentali, è penetrata nelle società musulmane - estrema e insicura mobilità, disgregazione delle comunità locali, instabilità, standardizzazione coatta della comunicazione - condizionandole pesantemente col mettere in crisi tutta una serie di preesistenti parametri socio/identitari. Questo in contesti già squilibrati diffuse sentimenti di frustrazione, di rabbia e di pulsioni revansciste confuse ma forti, indotte dalla prepotenza imperialista e dal ruolo di colonizzazione etnico/religiosa svolto da Israele. In Occidente si era sicuri che l’atomizzazione conseguente a questa modernizzazione depauperante avrebbe prodotto - come conseguenza della perdita dei vecchi parametri di identità - nuovi e più amorfi moduli di presenza sociale. Ma, così come la disgregazione capitalista non ha prodotto da nessuna parte la fine dei nazionalismi, del pari nelle società musulmane non ha dato luogo né a sconvolgenti fenomeni di secolarizzazione, né al formarsi della mitizzata società di consumatori, né infine all’emergere di una realtà proletaria di massa consapevole della propria realtà di classe. C’è stato invece il rafforzamento dei fondamentalismi religiosi.
Mubarak è caduto per la forza delle manifestazioni popolari contro di lui e per essere stato “mollato” dalle Forze Armate e dal Dipartimento di Stato Usa, ma gli avvenimenti si sono svolti senza che la Fratellanza Musulmana ne fosse un reale attore. Si è fatta viva in piazza quando ormai i giochi erano fatti. Poi però ha vinto sul piano elettorale. Il commento più calzante è comparso sulla stampa portoghese, nel senso che per un paradosso della democrazia a vincere in Egitto è stata una forza settaria. Una forza settaria i cui elettori, con tutta probabilità, non sono a conoscenza dei vecchi collegamenti con servizi segreti occidentali, sempre nell’usuale ottica dell’anticomunismo e della lotta a Nasser e ad altri capi di Stato arabi della lista nera di Washington. Risulta, per esempio, che già all’epoca di Eisenhower il genero di al-Bannaa, Said Ramadan, si incontrò col Presidente statunitense addirittura nella Sala Ovale della Casa Bianca, e che successivamente fu arruolato dalla Cia.

L’ideologo Saiyyd Qutb
Il dato ideologico di partenza di tutto il radicalismo islamico - e che lo accomuna con certe correnti della destra estrema europea - consiste nel ritenere l’identità dei popoli impermeabile alle vicende storiche, e quindi immutabile. A ciò si aggiungano la riduzione dell’identità dei popoli al fattore religioso (anch’esso considerato immutabile) e il disprezzo per la razionalità umana svincolata dalle fonti religiose. Un ulteriore elemento si trova in una chiara e colta esposizione fatta nel 1957 da un politico egiziano che con i Fratelli era stato in stretto contatto, cioè Anwar as-Sadat: si tratta della distinzione fra “civiltà” e “modo di vita”. In Occidente ci sarebbe solo un modo di vita, perché la civiltà si definisce in base all’esistenza di valori spirituali alti, mentre il modo di vita sovrappone il progresso meramente materiale a scapito dei valori umani. Il corollario di Sadat era che l’Occidente vive solo sulle rovine dell’Oriente e se non ne succhiasse il sangue non fiorirebbe.
L’obiettivo di islamizzazione integrale della società, con la Sharī’ah quale unica fonte del diritto, implica una struttura istituzionale che non sia di tipo occidentale. E allora il progetto specifico islamista si riduce alla riproposizione acritica di un’antica e fallimentare istituzione musulmana: il Califfato. Dopo la vittoria (che speriamo non accada mai) dovrà essere nominato un Califfo con poteri temporali assoluti per il governo e l’amministrazione della giustizia, ma subordinati all’osservanza del Corano e della tradizione profetica, essendo egli il “deputato” della comunità musulmana per l’attuazione della legge divina
Venendo a Qutb, egli è importante per la diffusione avuta dalle sue idee, la cui “summa” sta nel libro Pietre miliari del nostro cammino (ma'aalim fii al-ţariiq). La sua concezione è che per fare uscire il mondo dalla situazione di ignoranza religiosa (jaahiliyya) in cui versa, si deve imporre la sovranità divina attraverso la Legge islamica. Questa imposizione non può prescindere dal controllo della sfera politica. L’unità islamica costituisce lo sbocco e il coronamento dell’indipendenza conseguita dai paesi musulmani. La jaahiliyya viene vista peggio dell’ateismo, e coloro che versano in tale situazione non sono più da considerare dei veri musulmani. Quindi possono essere legittimamente combattuti (con quel che segue e si è visto in Algeria). Qutb ha attribuito alle sure medinesi del Corano il valore di perfetta costituzione (dustuur) della comunità islamica. Per lui la guerra santa restava attuale in presenza di quattro situazioni: difesa dai tentativi di allontanare i Musulmani dalla religione con la forza; difesa della libertà di propagandare la fede; realizzazione della giustizia; instaurazione del potere di Dio sulla terra. Soprattutto gli ultimi due presupposti equivalgono a una frase molto semplice: “sempre e dovunque”.  
Secondo la mentalità occidentale il concetto di unicità di Dio (tawhīd) ha una valenza essenzialmente metafisica, ma da essa Qutb deduceva una serie di conseguenze politiche e sociali. Innanzi tutto l’uguaglianza, poiché se Dio è unico, gli esseri umani gli stanno di fronte tutti nella stessa condizione, cioè uguali. E poi la giustizia sociale. Ma si tratta di una concezione totalitaria, antitesi di quel pluralismo su cui si è attestata la civiltà europea. Qutb ha trasferito infatti l’unicità di Dio alla sfera del mondo, che deve essere ordinato secondo la sua volontà unica. Il che significa che l’umanità-una deve dirigersi verso il Dio unico. Realizzare ciò è il compito dell’Islam, la sua ragion d’essere. Su queste basi tanto Qutb e i suoi seguaci, quanto il resto degli estremisti musulmani hanno rifiutato il ricorso alle elezioni, viste come apostasia. Infatti, i Musulmani dovrebbero essere governati dalle sole leggi religiose islamiche. Secondo Qutb nel mondo c'è solo un partito, il partito di Allah; tutti gli altri sono partiti di Satana e della ribellione. Quelli che credono combattono per la causa di Allah, e quanti non credono combattono invece per la causa della ribellione. Votare alle elezioni o fare una scelta pratica diversa è sfida alla suprema autorità di Dio riguardo alla condotta degli esseri umani.
Si potrebbe dire che il concetto di sovranità di Dio (hakimiyya) sostenuto da Qutb sia diverso da quello di “signoria di Dio” poi adottato dai Fratelli Musulmani. Nel senso che metterebbe in rilievo l’aspetto politico della sovranità (Dio unico legislatore e unico autentico dirigente della Comunità), mentre per i Fratelli di oggi a essere valorizzato sarebbe l’aspetto etico della direzione divina, quale punto di riferimento dell’agire umano. In tutto questo, dove sarebbe il progetto economico alternativo al capitalismo e al marxismo? La risposta è semplicissima: non esiste, e quindi non vi è nulla di alternativo o di originalmente islamico. Qutb prospetta una società armonica con un ordinamento economico equo e un’organizzazione equilibrata. Armonica perché senza classi con tutti i cittadini uguali davanti alle leggi; equa perché ammette la proprietà privata, anche dei mezzi di produzione, ma con qualche limite per non renderla antisociale. Il cosiddetto meccanismo riequilibratore di fronte a distribuzioni della ricchezza sociale sbilanciate consisterebbe nell’equità fiscale, dovendo i ricchi pagare allo Stato di più degli altri. Inutile dire che prevedeva pure una non meglio specificata “equa divisione” del profitto tra lavoratori e datori di lavoro. Logicamente Qutb ammetteva il libero mercato con la fisiologica dicotomia fra capitale e lavoro salariato. All’accusa di non possedere un reale progetto economico/sociale Qutb ha sempre risposto ribadendo semplicemente che nella legge di Dio è racchiuso il benessere dell’umanità.
Oggi gli anti-Morsi hanno riesumato, nei confronti della Fratellanza, la vecchia accusa di “fascismo religioso”. Probabilmente dal punto di vista della corretta classificazione politica la definizione non è appropriata; ma lo diventa se la si assume – come accade anche da noi nel parlare corrente – quale sinonimo di intolleranza e prepotenza ammantata da ideali più o meno alti.  

Le ramificazioni della Fratellanza
Nel mondo musulmano la Fratellanza è ramificatissima – anche nella penisola araba - mediante una serie di organizzazioni “sorelle” che ne condividono l’ideologia. Attualmente è al governo in Tunisia con la Harakat an-Nahdha (Movimento della Tendenza islamica), nella striscia di Gaza con Hamas e in Turchia con il partito di Erdoğan, l’Adalet ve Kalkınma Partisi-Akp (Partito della Giustizia e Sviluppo); in Marocco l’Hizb al-adaala wa at-tanmia (Partito Giustizia e Sviluppo) detiene la presidenza del Parlamento; in Giordania la sua diramazione, il Fronte di Azione Islamico, è rappresentata in Parlamento.
In Siria la locale Fratellanza Musulmana è assai combattiva, anzi jihadista. Nel 1979-1982 portò il paese sull’orlo della guerra civile, tentando di imporsi con la violenza, ma mal gliene incolse. Al massacro di sessanta cadetti della scuola militare di Aleppo e all’uccisione di molti militanti del Baath il governo di Hafiz al-Assad rispose con una durissima repressione ad ampio raggio, culminata nel 1982 nella semidistruzione della città di Hama e all’eliminazione di decine di circa 30.000 radicali islamici.
Oggi l’altro governo della Fratellanza che corre il rischio di fare la fine di Morsi è quello tunisino.

Potenza finanziaria
La Fratellanza è anche una potenza finanziaria estesa anche all’Europa. Per esempio, dopo i famosi attentati alle Twin Towers di New York, nella ricerca delle fonti e dei canali di finanziamento di al-Qaida, furono perquisite le abitazioni di dirigenti di al-Taqwa, una banca islamica con sede a Lugano, e fu trovato un documento sulla strategia finanziaria dei Fratelli Musulmani. Venne fuori che in Europa era stata costituita una rete finanziaria dagli anni Settanta, di cui un momento importante fu nel 1977 la fondazione della Banca Islamica del Lussemburgo. Sei anni più tardi la rete della Fratellanza disponeva di sette società finanziarie tra Lussemburgo, Danimarca, Londra, isole Cayman e gli Stati uniti, con un capitale che all’epoca era di circa 100 milioni di dollari. Oggi sarà sicuramente aumentato.

La Presidenza di Muhammad Morsi: una fallita “prova del nove”
Se s’interroga sulla Fratellanza un egiziano a essa ostile, si riceverà sicuramente una risposta che sottolinea il trattarsi di persone false, a cui interessa solo il potere e per questo manipolano l’Islam. Certo è che sono sempre stati bravissimi ad atteggiarsi ad agnellini, a passare per vittime e a nascondere la mano dopo aver lanciato il sasso. Riciclatisi i Fratelli mediante parvenze democratiche dopo le persecuzioni nasseriane, eletto Presidente dell’Egitto Morsi con tante belle promesse volte a rassicurare gli oppositori (praticamente mezzo Egitto), si è rapidamente visto che i discorsi elettorali erano solo un paravento dietro cui si nascondeva il vecchio progetto di islamizzazione della società secondo i tipici moduli della Fratellanza. Ovviamente la deposizione di Morsi ha dato il destro per accusare di ipocrisia i democratici e liberali laici egiziani schieratisi con il golpe militare. Formalmente il ragionamento non fa una grinza: dite di essere democratici e poi plaudite al rovesciamento di un Presidente democraticamente eletto. L’indignazione viene spontanea, come pure il biasimo per chi voglia fare dei distinguo politicamente scorretti e l’accusa di essere in favore di al-Sisi.
Tuttavia lo spazio per qualche obiezione esisterebbe, se si mette sotto osservazione la Presidenza di Morsi. Poi ciascuno tiri le proprie conclusioni. Certo è che dopo tanti classici marxisti e anarchici volti a demistificare le elezioni borghesi, trasformare in feticcio i risultati elettorali è un po’ eccessivo; tanto più che, pur restando nell’ottica liberaldemocratica, i fatti egiziani dimostrano che qualcosa non andava proprio nella gestione “democratica” del potere da parte di Morsi & C.
Qui una premessa teorico-pratica è indispensabile. Il corretto funzionamento della democrazia borghese si ha col realizzarsi di una duplice tutela: quella della maggioranza vittoriosa alle elezioni e quella delle minoranze sconfitte, le quali un domani potranno essere a loro volta maggioranza dovendo essere fisiologico il gioco delle alternanze. In questo quadro si presume che le parti in causa siano avversarie anche acerrime e spregiudicate; ma se si trasformano in vere e proprie nemiche allora il quadro si altera e cominciano le disfunzioni, suscettibili di portare alla rottura del sistema. Le inimicizie – schematicamente ragionando – possono sorgere o per un abnorme eccesso di rilevanza degli interessi materiali e relative personalizzazioni, oppure per ragioni politiche. Quest’ultimo caso si sostanzia nel fatto che una delle parti – o tutte, nel peggiore dei casi – sia portatrice di una visione del mondo e della vita (singola e sociale) antitetica alle altre e risulti (o sia ragionevolmente sospettata) di volerla imporre coattivamente a tutti quanti in virtù della conquista elettorale di una posizione maggioritaria. Ciò si traduce in atti e fatti orientati non tanto a sconfiggere i concorrenti alle elezioni, bensì orientati a modellare la società in un certo modo ed a volgere anch’essa contro i propri nemici politici in modo da metterli a tacere o espungerli dall’ambito delle forze sociali attive, al massimo riducendoli a testimoni di sé stessi.
Il sistema liberal-democratico comincia a funzionare male anche quando chi governa vuole farlo contro tutta quella parte di società che ha votato contro; quando si escludono alleanze e mediazioni; quando per principio si tagliano fuori dai processi decisionali le opposizioni. Giacché essere democratici non vuole dire solo vincere le elezioni e non impedire l’effettuazione di nuove tornate elettorali alle scadenze previste, ma soprattutto non gestire il potere come “cosa propria” contro tutti gli altri.
Lo stesso Hitler arrivò al potere per via elettorale e lo stesso dicasi per i governi salvadoregni contro cui infuriava la guerriglia. E poi c’è sempre l’esempio della Spagna della II Repubblica, dove il modo di agire dei governi della sinistra repubblicana e poi della Ceda di Gil Robles – governando proprio nel modo sopra stigmatizzato – posero le basi per la guerra civile.
Morsi non è caduto perché incapace: se per ogni governante inetto e pasticcione si dovesse avere un golpe militare, allora nessun paese al mondo ne sarebbe esente, e gli interventi militari prolifererebbero come i virus. Milioni di egiziani sono scesi in piazza contro di lui per la convergenza di due cause: la disastrosa politica economica in un paese alle corde, e l’evidente tentativo di realizzare il dominio della Fratellanza Musulmana a danno di tutte le altre componenti della società egiziana. A certi manifestanti interessavano o l’una o l’altra delle due cause, ad altri entrambe. E quando ci si trova – come Morsi – a essere stato eletto col 51% dei voti espressi, ma con un tasso di astensione addirittura del 49% (Morsi ha avuto 13.230.131 voti contro i 12.347.038 di Ahmed Shafiq, ultimo Primo ministro di Mubarak) in un paese arabo, si rischia di brutto se non si riesce, come promesso, a essere il Presidente di tutti gli Egiziani, giacché in realtà l’eletto è il Presidente espresso da una minoranza di poco superiore al 25% del corpo elettorale.   
Innegabilmente i Fratelli Musulmani hanno conseguito molto seguito e prestigio in Egitto (e non solo) mediante le loro attività sociali, supplendo in certo modo all’inerzia dello Stato; pur tuttavia si tratta di iniziative collocabili fra il caritativo e l’assistenziale, senza la futura prospettiva di riforme socio-economiche di struttura. Difatti la Fratellanza è conservatrice e assolutamente aperta al capitalismo, e  lo stesso Morsi – per musulmano che sia – in precedenza aveva fatto carriera negli Stati Uniti (aveva lavorato alla Nasa) e di quel paese aveva acquisito la nazionalità. Se sul piano sociale non ha fatto niente per le masse popolari, in termini più ampi ha aperto ancora di più  l’economia egiziana al capitalismo selvaggio. Per fortuna non ha fatto a tempo a realizzare il suo progetto di vaste di privatizzazioni che avrebbero dovuto raggiungere il diapason con quella del Canale di Suez, da vendere successivamente al Qatar.
L’Occidente neoliberista non aveva sbagliato nell’inquadrare i Fratelli Musulmani come possibili alleati economici, a motivo della comunanza di vedute in ordine al capitalismo neo-liberista e alla compartecipazione di interessi concreti, essendo la Fratellanza espressione di una rampante e influente borghesia medio-alta, di commercianti, industriali e professionisti. Il milionario Khairat al-Shater, uno dei fondatori del braccio politico della Fratellazna, il partito Giustiza e Libertà (hizb al-hurriyya wa l-‘adaala), con l’avvento al potere di Morsi si è affrettato a dare garanzie a Usa e Unione Europea circa le intenzioni economiche del nuovo governo. Il modello economico offerto dai Fratelli Musulmani non è differito di molto da quello dell’era Mubarak: è stato solo peggiore e a unico vantaggio di una parte dell’alta borghesia. Non  stupisce, quindi, che tra i manifestanti anti-Morsi ci sia stata un’enorme massa di disoccupati e sottoproletari le cui condizioni economiche sono sempre più insopportabili: salari da fame, da tre a cinque ore di fila per il pieno di benzina, continue interruzioni di corrente tali da aggravare le condizioni di vita della popolazione e rischiare di paralizzare l’economia, il turismo al collasso (e non è stata certo un elemento attrattivo la nomina a governatore di Luxor di un personaggio legato proprio ai gruppi terroristici che nel 1997 avevano ammazzato circa sessanta turisti), e infine lo spettro che l’incompetenza di Morsi & C. compromettesse anche le vitali importazioni di frumento.
In politica estera la situazione è rimasta tale e quale quella del periodo di Mubarak, il che ha colpito  il nazionalismo di masse già ostili per le suddette cause: inalterati i rapporti con Israele, continuazione del condizionamento statunitense, ostilità verso la Siria fino alla rottura delle relazioni diplomatiche con Damasco e all’incitamento al Jihad contro Assad. Come sovrappiù era diventato palese l’intento di imporre a laici e cristiani l’inserimento della Legge islamica nella nuova Costituzione.
Se la Fratellanza è arrivata al potere sfruttando un’enorme domanda di libertà e democrazia, sta di fatto che Morsi & C. hanno fatto di tutto perché tale domanda entrasse in urto con il loro islamismo. Si è voluto correre il rischio di governare all’insegna di una religione diventata ideologia politica, da cui però non provengono né miglioramenti di vita né riduzioni dei privilegi dei soliti pochi. L’occasione storica è andata perduta.  

I Fratelli Musulmani non hanno letto Machiavelli
Insegnava il grande fiorentino che quando un avversario o nemico è troppo forte per “spegnerlo”, allora lo si deve blandire. Basta la cronologia della crisi egiziana per rendersi conto che né Morsi né i suoi hanno letto Il principe. Ecco la cronologia ridotta all’osso:
2011= Febbraio: Mubarak si dimette e lascia il potere a un consiglio militare.
Marzo: Vengono approvate riforme costituzionali per aprire la strada a nuove elezioni.
Aprile: Mubarak e i suoi figli vengono arrestati con l'accusa di corruzione. Continuano le proteste in piazza Tahrir per la lentezza del cambiamento politico. Vengono alla ribalta gruppi islamici.
Agosto: Mubarak va sotto processo con l'accusa di aver ordinato l'uccisione di manifestanti.
Novembre: il Primo ministro Sharaf in seguito a disordini. Iniziano le consultazioni parlamentari.
Dicembre - Entra in carica il nuovo governo di unità nazionale guidato dal primo ministro Kamal al-Ganzouri.
2012= Gennaio: i partiti islamisti vincono le elezioni parlamentari.
Giugno: Morsi vince le elezioni presidenziali. Mubarak viene condannato all'ergastolo per complicità nell'uccisione di dimostranti nelle manifestazioni all’inizio del 2011.
Luglio: La Corte Suprema annulla le elezioni parlamentari vinte dai Fratelli musulmani e il Consiglio supremo delle forze armate scioglie l'assemblea parlamentare. Morsi revoca l'ordine di scioglimento.
Agosto: Il nuovo primo ministro Hisham Qandil forma un governo composto di tecnocrati, islamisti e membri del vecchio governo, escludendo le forze laiche e liberali. Morsi allontana il Ministro della Difesa  e il Capo di Stato maggiore, e impedisce ai militari di intervenire su legislazione e nuova Costituzione.
Novembre: Morsi emette un decreto che impedisce alla magistratura di contestare le sue decisioni, ma rinuncia dopo le proteste popolari.
Dicembre: La nuova Assemblea costituente, con maggioranza islamica, approva la bozza della nuova Costituzione, che aumenta il ruolo dell'Islam e limita la libertà di parola e di riunione. Un referendum approva la nuova Costituzione: proteste dell'opposizione laica, dei cristiani e delle associazioni femminili.
2013= Marzo: Un tribunale amministrativo annulla le elezioni parlamentari indette da Morsi per il 22 aprile, per non aver trasmesso alla Corte Costituzionale la legge elettorale emendata dalla Camera alta.
Giugno: Morsi nomina governatori islamisti in 13 dei 27 governatorati. Grandi proteste suscita la nomina di un membro di un gruppo islamista armato legato al massacro di turisti a Luxor del 1997. In seguito alle proteste il neo governatore di Luxor si dimette.
Luglio: Dopo continue e massicce manifestazioni di piazza i militari destituiscono Morsi.

In buona sostanza, Morsi ha agito come se avesse avuto - tra appoggio di masse popolari, infiltrazioni di suoi seguaci nel gangli dell’amministrazione pubblica e solide connivenze ai vertici di magistratura, esercito e polizia – il potere di fare e disfare. La situazione invece era tutta di segno contrario, con gli uomini di Mubarak ancora ai posti giusti e per niente disposti da lasciargli vita facile. E poi c’è stato il palese prendere di petto le Forze Armate, cioè un organizzatissimo Stato nello Stato, punto di riferimento storico del massiccio nazionalismo popolare, che oltre alle armi dispone di un potere economico immenso ed è fortemente radicato nel territorio.
Sin dal 1952, durante il governo di Nasser e il suo programma esteso di nazionalizzazioni, l’esercito prese il controllo diretto dell’economia “in nome del popolo”; con l’avvento di Sadat, questo ruolo si è trasformato ma non è affatto venuto meno. Il finanziamento Usa alle Forze Armate (un miliardo e 300 milioni dollari l’anno) - il cui uso non soggiace ad alcun controllo - ha portato  alla creazione del Nspo (National Service Project Organization) fondatore di imprese dirette da generali e colonnelli in pensione, alle quali sono andati sussidi e privilegi fiscali. Al riguardo gli studiosi parlano di Military Industrial Business Commercial Complex, giacché i vertici delle Forze Armate controllano una serie di settori che nulla hanno a che vedere con la difesa del paese: produzione di pasta, acqua minerale, olio,  latte, pane, bottiglie d’acqua, cemento, bombole di gas, carburante e veicoli; agenzie di compravendita di immobili per conto del governo (inserendosi così nei processi di urbanizzazione); complessi alberghieri di lusso. Enormi profitti sono pure ricavati dai terreni direttamente controllati e valutati in almeno un milione di chilometri quadrati, dei quali è coltivato solo il 5%. Naturalmente i militari possono espropriare qualsiasi terreno con la motivazione della difesa nazionale. Si ritiene che i militari controllino tra il 25% e il 40% dell’economia. Dispongono di una forza-lavoro grazie alla leva, talché molti soldati verso la fine del periodo di leva (obbligatorio e di due anni) lavorano in fabbriche, aziende agricole e agenzie sotto il controllo delle Forze Armate per una paga che va dai 17 ai 28 dollari al mese; quindi con grande profitto per chi li impiega. Non sono migliori le condizioni di lavoro degli altri dipendenti, e quando scioperano (cosa che accade) finiscono davanti ai tribunali militari.   
Oltre tutto le Forze Armate egiziane sono essenzialmente laiche e impermeabili ai fumosi sogni islamisti della Fratellanza. Era ovvio che scatenare contro di sé mezzo Egitto e fare sprofondare ancora di più l’economia del paese nel caos voleva dire costringere le Forze Armate a intervenire, non foss’altro per la difesa del proprio potere e dei propri interessi.
Caduto Morsi, la posizione assunta dalla Fratellanza si è rivelata debole, ingenua e noncurante sul piano umano. Debole perché non è stata in grado di contrapporre ai militari uno sciopero generale, ma solo una massa di isterici fanatici pronti a farsi ammazzare in nome di Morsi ululando “Allah è grande”. Non disponendo di alleati - e anzi, abbandonati dagli stessi Salafiti di an-Nur - ha scelto la strada peggiore, più ingenua e incurante dei morti che sicuramente ci sarebbero stati fra le proprie fila: lo scontro frontale senza nessuna speranza. Se la Fratellanza dovesse passare al terrorismo, neanche nell’opinione pubblica occidentale - emotiva, volubile e di scarsa memoria - troverebbe più molti disposti alla benevolenza; come accadde per l’Algeria.
Staremo a vedere se i Fratelli si sono messi da soli con le spalle al muro.

19 agosto 2013

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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.