L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

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martedì 27 gennaio 2015

ANTE LA MUERTE DE CANEK SÁNCHEZ GUEVARA, por Ricardo Gadea

México/ 20/enero/2015

Roberto, he recibido tu mensaje sobre Canek y lo hemos enviado a diversas amistades. Te agradezco muchísimo los términos elogiosos sobre Canek. Te adjunto también un pequeño texto que difundí apenas producido su deceso.

Ricardo
[Ricardo Gadea - tío de Canek - desde Lima]







Querido Canek, acabo de enterarme de que no pudiste despertar de la operación al corazón. Es increíble que te hayas ido de improviso, sin dar señales, sin decir adiós. Y tan pronto, porque apenas habías sobrepasado los 39 años de tu madre, Hildita, la rebelde, cuando murió en La Habana, y tu abuelo, que tenía la misma edad, cuando cayó en la guerrilla boliviana. Es como el sino familiar, una vida fulgurante, acelerada.

SYRIZA, UN SUCCESSO ELETTORALE, di Michele Nobile

La postdemocrazia greca alla prova della coerenza

Il successo elettorale di Syriza segna una riscossa del popolo greco contro il più spietato attacco antipopolare messo in pratica in Europa occidentale da molti decenni a oggi, attuato congiuntamente dal ceto politico greco e internazionale. In questo senso, costituisce un'elementare vittoria della democrazia contro la postdemocrazia. La sostanza di quest'ultima è la concorde volontà dei partiti di governo, siano essi di destra o di sinistra, di far pagare la crisi capitalistica ai comuni cittadini, lavoratori e non.
Per il popolo greco la formazione di un governo centrato su Syriza costituisce non solo una speranza per il futuro, ma anche un terreno più avanzato di lotta sociale nell'immediato. Syriza si è impegnata chiaramente a rovesciare l'orientamento della politica economica e sociale, il che comporta, tra l'altro: creare 300 mila nuovi posti di lavoro, intervenire per ridare dignità a coloro che in questo momento si trovano ai limiti della sopravvivenza, restituire ai lavoratori i diritti che sono stati loro tolti, cancellare i debiti di chi si trova sotto la soglia di povertà, sospendere i pignoramenti, reintrodurre il salario minimo e la tredicesima per le pensioni fino a 700 euro, esenzione fiscale per i redditi fino a 12.000 euro e tassazione più progressiva, garantire l'assistenza medica gratuita per i disoccupati non assicurati, fermare le privatizzazioni.
Sulla carta, il programma di governo di Syriza è ragionevole e fattibile. Comporta la ricontrattazione del debito, di cui una parte dovrebbe essere cancellata, nonché una moratoria nel pagamento dello stesso: non è una novità, a fronte di un debito che non può, realisticamente, essere pagato, non nella sua interezza e non in tempi stretti; i creditori hanno già dovuto accettare un cosiddetto haircut sul debito greco.
Nello stesso tempo si propone di rilanciare la domanda interna, il che ridurrebbe automaticamente il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno, sia per via della crescita del prodotto che per le maggiori entrate pubbliche, che si prevede aumentino anche grazie alla lotta all'evasione fiscale e al contrabbando. Per questo intende escludere gli investimenti pubblici dai vincoli del patto di stabilità; e sarebbe giusto che il quantitave easing della Banca centrale europea interessasse anche i titoli di Stato della Grecia, come dovrebbe essere ovvio in una unione monetaria. Nell'insieme, le misure del programma di Salonicco per affrontare l'emergenza sociale e rilanciare l'economia dovrebbero ammontare a circa un 6% del Pil della Grecia: non si può pensare di uscire dalla depressione con una spesa aggiuntiva inferiore.

domenica 25 gennaio 2015

DEFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE IN EUROPA, di Michele Nobile

… e i problemi che il quantitative easing non risolve

La signora Merkel e il pappagallo congelato
Un colossale pappagallo zampe all'aria, con tutta l'apparenza d'essere morto: così la copertina di The Economist rendeva lo stato dell'economia europea nell'ultima settimana di ottobre dell'anno appena trascorso. Nella stessa immagine, una piccola Angela Merkel osserva il pappagallo affermando: sta solo riposando (it’s only resting).
Di cosa potrebbe soffrire lo sventurato pappagallo? Di freddo, nonostante le temperature anomale dell'autunno. Freddo che in termini economici si chiama deflazione: The Economist suggerisce dunque un paragone tra i prezzi e i parametri di temperatura entro cui si svolge la vita. Un certo livello d'inflazione nel processo economico è l'equivalente del sano riscaldamento del corpo nell'attività fisica: la crescita nominale dei prezzi e dei salari è indice di crescita dell'investimento e dell'occupazione, di vitalità economica. Viceversa, l'analogo della deflazione è il processo di congelamento, che causa sonnolenza, incoscienza e infine, se non si arresta, la morte. Ed è appunto questo il processo di cui può rimanere vittima il pappagallo, cioè l'economia europea.
Infatti, se si osserva il termometro dei prezzi al consumo, esso ci dice che la temperatura media annua nell'area dell'euro a ottobre era allo 0,4%, a novembre 0,3%, a dicembre -0,2% (ultimo dato del flash Eurostat del 7 gennaio 2015). A incidere fortemente sul livello dei prezzi è la riduzione della componente energetica, ma la crescita dei prezzi dei beni industriali staziona da tempo intorno allo zero, mentre i prezzi dei servizi, meno sottoposti alla concorrenza internazionale, sono i più caldi (1,2%). In Germania, dove pure il tasso di disoccupazione è meno della metà della media europea, il tasso d'inflazione annuo a ottobre era allo 0,7%, in novembre 0,5%; se si guarda alle altre grandi economie del continente, con gli stessi riferimenti temporali, i tassi per la Francia erano 0,5% e 0,4%, per l'Italia 0,2% e 0,3%, per la Spagna -0,2% e -0,5%. Oltre alla Spagna, a novembre erano addirittura sotto il punto di congelamento: Bulgaria (-1,9%), Grecia (-1,2%), Polonia (-0,3%). Se invece che i tassi annui si guardano le previsioni del tasso mensile di novembre, tutti i paesi europei sono sotto lo zero, ad eccezione della Germania, giusto a zero, della Norvegia e dell'Austria (dati Eurostat, release del 17 dicembre 2014).
Posto il problema, l'utilità del paragone tra il livello dei prezzi e la temperatura corporea finisce qui. Nei rapporti monetari e mercantili non c'è nulla di naturale.

sabato 24 gennaio 2015

SUL CINEMA SOVVERSIVO DI GUY DEBORD, di Pino Bertelli (a Napoli: Museo Nitsch/Fondazione Morra)

«Giovani uomini, giovani donne, qualunque attitudine alla noia e al gioco. Senza speciali conoscenze.
Se intelligenti e belli, voi potete entrare dentro al senso della Storia.
Con i situazionisti. Proibito telefonare. Presentarsi».

«NEL '68 ANCHE I VINI E LE MARMELLATE VENNERO PIÙ BUONI, FORMIDABILI QUEGLI ANNI…
I SITUAZIONISTI VOLEVANO PORTARE L'IMMAGINAZIONE AL POTERE, NON PER POSSEDERLO MA PER MEGLIO DISTRUGGERLO!».

(dal libro di Pino Bertelli: Guy Debord. Anche il cinema è da distruggere!, Mimesis Editore, 2015).

ALLA FONDAZIONE MORRA/MUSEO NITSCH CON IN MANO UNA LUCCIOLA O I PROPRI SOGNI INDIGNATI!

venerdì 23 gennaio 2015

LA DESCOLONIZACIÓN DEL CRISTIANISMO, por Enrique Contreras (Ruptura/Utopía Tercer Camino)

Si algo no nos permite ver parte de la realidad ideológica, social y política que el mundo vive, es el sectarismo que a veces es producto del fanatismo o fundamentalismo. Esta posición es la que se ha encargado –hoy día– de seguir afirmando que la religión es el opio de los pueblos. La “Teología de la liberación”, como corriente del pensamiento transformador, ha desmontado esta versión y se ha encargado de descolonizar el cristianismo y hacer del mismo una teoría para el evangelio social y la praxis revolucionaria.
En muchas oportunidades, hay quienes han señalado y repetido como loros, que las religiones desprendidas del cristianismo representan el opio de los pueblos, tal afirmación corresponde en un comienzo a la ortodoxia marxista.
Ahora bien, éste escenario en el mundo de hoy ha cambiado notablemente, pues hay que saber diferenciar a los que tienen la religión como negocio y el cristianismo como instrumento para establecer un modo de vida.
Entiendo que la religiosidad venida del eurocentrismo nace producto de una relación de fuerza, es decir, de relaciones de poder. Ese poder –hemos afirmado– se utilizó para ese entonces, en función de que la religión cumpliera el propósito, el objetivo y el fin de facilitar el proceso colonizador, bajo el argumento falaz de estar todo esto al servicio de Dios.
Es aquí, donde vale la pena interrogarse: ¿sigue siendo la religión opio del pueblo tal y como se lo plantearon Marx y Engels en el siglo XIX? Al respecto Michael Löwy (sociólogo y filósofo marxista), refiriéndose al planteamiento de Marx, nos indica:
«Su punto de vista se aplica aún a muchas instituciones católicas (el Opus Dei es sólo el ejemplo más obvio), al uso fundamentalista corriente de las principales confesiones (cristiana, judía, musulmana), a la mayoría de los grupos evangélicos (y su expresión en la denominada “iglesia electrónica”), y a la mayoría de las nuevas sectas religiosas, algunas de las cuales, como la notoria iglesia del reverendo Moon, son nada más que una hábil combinación de manipulaciones financieras, lavado de cerebro y anticomunismo fanático» [Löwy, 2006 “Marxismo y religión: ¿opio del pueblo?” p. 281].
Si nos ubicamos en tiempo y espacio, dos categorías históricas fundamentales en cualquier análisis, nos vamos a encontrar con otras realidades, pues los tiempos cambian y las realidades también, y una de esas realidades es que hoy día, así como se sigue utilizando la espiritualidad y la religiosidad, como instrumento de dominación, no es menos cierto que de allí han surgido corrientes que ven en éste caleidoscopio de creencias un instrumento para buscar en la tierra y no en el cielo la mayor suma de justicia social que reivindique a la humanidad.

mercoledì 21 gennaio 2015

LAS DESAPARICIONES FORZADAS EN LATINOAMÉRICA Y EN GUATEMALA, por Marcelo Colussi

Síntesis
Así como la violencia engendra más violencia, la impunidad engendra más impunidad. Es por eso que se torna imprescindible para la vida social establecer sistemas de justicia que castiguen las violaciones a las normas establecidas. Si no hay castigo por los asesinatos que se puedan cometer (incluso para la guerra hay normas: los Convenios de Ginebra), si la impunidad permite todo, entonces estamos ante el caos, ante la ley de la selva, del más fuerte. En Guatemala algo de eso está sucediendo: la justicia no existe. La impunidad se ha impuesto. Pero los crímenes de guerra no pueden quedar impunes, porque con eso se alimenta el círculo de la violencia, del resentimiento, de la venganza. En el año 2013, luego de un proceso judicial limpio y con incontrastables pruebas incriminatorias, el general José Efraín Ríos Montt fue condenado por delitos de lesa humanidad a 80 años de prisión inconmutables. Por esa impunidad a la que nos referimos, 48 horas después del veredicto dictado por un tribunal, una maniobra leguleya le permitió saltar la sentencia y dejar su caso en un cierto limbo legal, buscándose su amnistía total a partir de juegos políticos palaciegos. ¿Por qué es importante lograr una condena de hechos que ya están comprobados como delitos de lesa humanidad, por tanto imprescriptibles? Porque el respeto a la ley es lo único que puede servir para construir una sociedad con alguna cuota de paz y armonía. El no respeto a la ley, la impunidad, es la invitación a más violencia. Estudiar las desapariciones forzadas de personas puede ayudar a comprender este fenómeno.

Palabras clave
Desapariciones forzadas, impunidad, contrainsurgencia, clandestinidad, subversión.
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Introducción

Comprender todo no significa perdonar todo.
(Sigmund Freud)

La palabra “reconciliación” es, seguramente, de las más difíciles y problemáticas que pueda haber en el campo de las ciencias políticas. Pensar la reconciliación en términos políticos, en términos sociales como parte de un colectivo, de una gran masa de personas, es tremendamente complejo. Lo es porque, en realidad, la reconciliación constituye un proceso comprensible -y posible- entre dos partes cuando se trata de un universo micro: dos personas, una pareja, una familia, un pequeño grupo.
Cuando se trata de la complejidad de una sociedad donde son tantas y tan disímiles las variables en juego, se torna prácticamente imposible pensar en “reconciliarse”. ¿Quién sería, en ese caso, el sujeto de la reconciliación? Si hay tal cosa, a partir del prefijo “re” eso significaría que hubo originalmente una conciliación, un estado de relativo equilibrio, que por algún motivo luego se rompió y ahora se busca re-establecer. En tal caso, re-conciliarse sería volver a un estado previo de cierta armonía, de paz y concordia.
¿Es posible eso en una sociedad? Más aún: ¿es posible eso en una sociedad desgarrada por una guerra interna como la guatemalteca? Sociedad que, en realidad, nunca fue armónica, sino que está marcada en toda su historia por la más despiadada exclusión social y por un racismo visceral.

lunedì 19 gennaio 2015

VIGNETTE SATANICHE, COMPLOTTISMO, WOLINSKI, di Roberto Massari

Vignette sataniche
Qualsiasi tentativo d'impedire la satira, nel caso specifico la pubblicazione di vignette, va certamente combattuto, senza se e senza ma. E in questo io sto con Charlie Hebdo. Lo sottolineo, anche se ovviamente «non sono Charlie Hebdo», in primo luogo per miei limiti in campo grafico e umoristico, in secondo luogo per limiti politici della rivista stessa. Alla quale comunque in questi giorni va tutta la mia solidarietà, per quel che può contare.
Tra la marea di dissociazioni dalla nota rivista francese lette in questi giorni (è triste dirlo, ma andava molto di moda anche dire «je ne suis pas Charlie» - provando un brivido compiaciuto di trasgressione anticonformistica) ho trovato motivazioni reazionarie accanto a motivazioni «di sinistra», posizioni della Chiesa cattolica accanto a quelle ben note del mondo musulmano, oltre ovviamente alla solita marea di complottisti - una genìa destinata a crescere in maniera esponenziale, anche a causa delle facilitazioni che la Rete offre all'esibizione delle proprie turbe mentali. Ci torno tra breve.
Prima però voglio ricordare che l'odio per le vignette che ironizzano sui Grandi capi o le Divinità (in questo caso Allah o Maometto) non è tipico del solo Islam, e neanche del solo mondo religioso-devozionale. La storia è piena di esempi tratti da regimi totalitari che hanno impedito l'ironia verso i capi di governo, equiparati in genere a delle autentiche divinità. Basti pensare alla Russia di Stalin o alla Cina di Mao, dove ogni forma di satira verso i Beneamati Capi era proibita, ma si finiva ugualmente nei rispettivi Gulag anche solo per un'intonazione ironica della voce (figuriamoci per una vignetta…).
Pochi sanno però che ancora oggi esiste un Paese laico e ad alcuni di noi molto caro - Cuba - in cui è assolutamente proibito ironizzare sulla figura del Comandante en jefe. Non esiste neanche una vignetta pubblicata nell'Isola o sulla stampa cubana in cui vi sia ironia (neppure affettuosa, garbata o moderata) verso la figura di Fidel. Chi lo facesse in pubblico, finirebbe immediatamente nei guai. C'è il precedente di un povero cantante straniero che, avendo fatto una battuta sul líder máximo durante un concerto all'Avana, fu sbrigativamente accompagnato all'aeroporto la mattina dopo. Da allora non ci ha più provato nessuno e quindi a Cuba niente vignette su Fidel. Ed è veramente un peccato, perché la sua figura si sarebbe prestata ottimamente per una satira grafica e di contenuti.

NOSTRA BAMBINA DELLE LACRIME, foto di Pino Bertelli

La guerra è il terrorismo dei ricchi, il terrorismo è la guerra dei poveri, diceva… ma non è più così… maledette tutte le guerre e le carogne che le fanno!

sabato 17 gennaio 2015

NAJI AL-ALI: NO AL SILENZIATORE! I FUMETTI DI HANDALA E LA RIVOLUZIONE PALESTINESE, di Pino Bertelli

a ricordo di un grande disegnatore palestinese, ucciso perché aveva fatto della sua arte un'arma per la libertà d'espressione…

E falsa sia per noi ogni verità, che non sia stata accompagnata da una risata.
(Friedrich W. Nietzsche)

Io milito per la causa palestinese e non per le singole fazioni palestinesi.
Non disegno per conto di qualcuno, disegno solo per la Palestina, che per me si estende
dall'Oceano Atlantico fino al Golfo [si intende tutto il mondo arabo (n.d.r.)]
I miei personaggi sono pochi, il ricco e il povero, l'oppressore e gli oppressi…
e non mi sembra che la realtà si discosti molto da questo.
(Naji Al-Ali)

Cantando per le strade, per i campi, /il nostro sguardo farà scaturire l'osservatorio
dal posto più lontano /dal posto più profondo
dal posto più bello, /dove non si vede che l'aurora,
e non si sente che la vittoria. /Usciremo dai nostri campi.
Usciremo dai nostri rifugi in esilio. /Usciremo dai nostri nascondigli,
non avremo più vergogna, se il nemico ci offende.
Non arrossiremo: /sappiamo maneggiare una falce,
sappiamo come si difende un uomo disarmato. /Sappiamo anche costruire
una fabbrica moderna, /una casa,
un ospedale, /una scuola, /una bomba, /un missile.
E sappiamo scrivere le poesie più belle.
(Mahmud Darwish, Cantando per le strade)

I. OUVERTURE AL VELENO

Di nessuna chiesa è l'arte del fumetto. La meraviglia e lo stupore sono i fuochi della conoscenza e dell'intelligenza. Per evitare la stupidità, in arte come nella vita quotidiana, basta sapere che il profumo del biancospino influisce sulle costellazioni, diceva… il solo nemico dell'arte non è l'originalità (pretesa), bensì l'insignificante (accertato). La fumettografia ereticale è un modo di filosofare e tende alla sovversione di tutta la figurazione/comunicazione ordinata nel lievito del mercantile e in secoli di soggezione… a partire dalla sacra sindone, fino a tutta la pubblicistica come forma propedeutica (non solo) popolare che cementa la demenza di pochi con la demenza di molti. Quando arrivano gli artisti veri, si alzano le forche. L'arte del fumetto, infatti, non serve a niente, proprio come la musica di Mozart.
L'esercizio della fumettografia è stato, quasi sempre, pura contemplazione del segno… il grande fumettista è colui che è consapevole di rappresentare una minaccia per l'ordine costituito… il suo veleno immaginario vagabonda nei cieli in utopia del libertario e mostra che "valori comuni generano donne e uomini comuni… si tollera quello che non si ama, e solo quando non lo si considera pericoloso per la costellazione dei propri pregiudizi" (Giulio Giorello)1. La critica della fumettografia non è solo corrosiva - se essa scioglie nel cianuro di china i valori e i codici correnti -… è una vera e propria minaccia contro chi minaccia la libertà di pensiero. Chi è di nessuna chiesa non si ritrova neppure in una chiesa di eretici… l'odio ha un recinto e la rete spinata, l'amore dell'uomo per l'uomo scopre che la fraternità ha uno sguardo, l'accoglienza un abbraccio. La storia del fumetto è storia di genuflessioni o d'intemperanze che fanno scandalo.
I fumetti davvero grandi si scagliano contro ogni forma di sudditanza e inventano la poetica della rêverie di una società libera e aperta. Si tratta di accedere al reale attraverso l'irriverenza dell'immaginario e fare di un gioco di segni/specchi il risveglio di una volontà creativa: "Il diventare opaco del mondo appare così, più che un allentamento della coscienza, come una condizione per il ridestarsi della coscienza attivamente immaginante. Il crepuscolo della rêverie è il crepuscolo della realtà stessa, non è un decadere dell'io nella passività del sonno e del sogno, ma un emergere dell'io «irrealizzante» nell'allontanamento della dimensione della realtà" (Gaston Bachelard)2. Il reale è sempre sulla soglia del vero e in arte, come in amore o nella rivolta, tutto è permesso. Dove non c'è l'ebbrezza dell'oltrepassamento non c'è verità né arte… si tratta di minare la base, scuotere la cima dell'essere e fare dell'interrogazione il primo segno/gesto di disobbedienza.
Nella culla consolatoria dell'infanzia amena, infelice o imbecille, i fumettari del mercimonio, sempre proni alla qualificazione del fumetto in "opera d'arte" per essere riconosciuti nelle cloache del tempio del consumo mediatico come apostoli della stupidità eidetica… restano degli eterni bambini con la tendenza, sovente demenziale, di chi non si accorge della dolente umanità e preferisce disegnare lo stupidario d'immagini utili a giornali, libri, riviste, televisione, cinema, pubblicità… sulle quali sorridere per un po', coscienti che tutto resterà come prima e magari qualcuno dei bersagli/uomini politici scherniti potrà acquistare una tavola e appenderla nel bagno dove gli ospiti la possono ammirare in intimità. I fumettari dell'avanguardia stanno al giogo né più né meno di quelli più blasonati. Restano al palo della storia (non solo del fumetto) in attesa di essere "scoperti" da qualche "mercante illuminato", e intanto si danno da fare a sputacchiare disegni a destra e sinistra, sempre in nome della libertà d'espressione.

venerdì 16 gennaio 2015

GENS UNA SUMUS: GLI SCACCHI OLTRE LE DIFFERENZE ETNICHE E RELIGIOSE, di Riccardo Vinciguerra e Paolo Moisello

Su proposta del nostro compagno alessandrino - e sommo scacchista - Riccardo Vinciguerra (Mongo), pubblichiamo questa vignetta di Paolo Moisello, in accordo con un clima di ottimismo rivoluzionario che continuiamo a propugnare, nonostante i tragici atti di terrorismo di stampo jihadista succedutisi a Parigi la scorsa settimana (nella redazione di Charlie Hebdo e in un supermercato kosher).
Il disegno è apparso per la prima volta sul sito SoloScacchi.org, gestito con passione da Riccardo assieme ad un 'collettivo' di amici e dedicato al nobile gioco in tutte le sue declinazioni. [la Redazione]

giovedì 15 gennaio 2015

¿SEREMOS TODOS CHARLIE? CHOQUE DE CIVILIZACIONES: ¡NO NOS SIGAN AGARRANDO DE ESTÚPIDOS, POR FAVOR!, por Marcelo Colussi

Cuando en el año 1883 la erupción del volcán Krakatoa, en Indonesia –a la sazón colonia holandesa–, produjo un maremoto con tremendas olas de 40 metros de altura que provocaron la muerte de 40.000 habitantes, un diario en Ámsterdam tituló la noticia: “Desastre en lejanas tierras. Mueren ocho holandeses y algunos lugareños”. ¡Qué racismo!, podríamos decir hoy escandalizados. Lo cierto es que la historia no ha cambiado mucho 130 años después.
Ya estamos tan habituados a Hollywood y montajes hollywoodenses, que vemos el mundo en términos de “buenos” y “malos”, de “muchachitos” justicieros (siempre blancos, defensores de la “democracia y el estilo de vida occidental y cristiano”, “triunfadores” por antonomasia) que castigan a “bandidos” (los cuales, casualmente, son siempre indios, negros, y desde hace un tiempo musulmanes). Tanto se nos metieron estos esquemas en la cabeza –¡nos los han metido!, habría que aclarar– que interpretamos todo lo que pasa a nuestro alrededor según esa clave. Para el caso, remedando aquel racismo de la tragedia del volcán Krakatoa, los recientes hechos de París nos lo dejan ver de un modo vergonzoso.
De ningún modo se puede aplaudir la muerte violenta de nadie, la de los caricaturistas, la del policía rematado en el piso, la de tanta gente que muere a diario por causas prevenibles. Pero levantar estas repulsas universales tan ¿hollywoodenses? por los muertos franceses –tan respetables como cualquiera, por supuesto– como mínimo abre ciertas sospechas.
Ya se escribió hasta la saciedad sobre el ataque al semanario francés Charlie Hebdo. Un texto más sobre el asunto seguramente no aporta nada nuevo (por el contrario: más bien puede contribuir a aumentar ese hartazgo). Pero casi como un acto de militancia me pareció necesario –aunque sea tardío– decir ¡basta! a tanta manipulación mediática.
Este manipulado proceder, que ya se nos hizo tan habitual, de dividir maniqueamente el mundo entre buenos y malos, impide entender la complejidad de los procesos en juego, obnubila la mirada crítica sobre la realidad. En otros términos: estupidiza.
Hollywood y toda la parafernalia comunicacional que sigue esa línea (que es muy buena parte de lo que consumimos a diario como “información”) nos ha anestesiado, convirtiéndonos de máquinas tragadoras de imágenes prediseñadas. Desde hace aproximadamente más de dos décadas toda esa industria mediática ha venido haciendo del mundo musulmán un enemigo público de la “racionalidad” occidental. El asunto no es azaroso. Unos años después de iniciada esa campaña de preparación, un catedrático estadounidense –Samuel Huntington– no sin cierto aire pomposo nos alertó del “choque de civilizaciones” que se está viviendo.

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.