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lunedì 16 maggio 2016

IL REALE SIGNIFICATO ODIERNO DELLA CELEBRAZIONE DELLA NAKBA, di Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)

Rifugiati palestinesi nel 1948
Il 15 maggio è una ricorrenza di particolare importanza per i palestinesi perché è il giorno in cui celebrano la Nakba, "la catastrofe", tramite la quale viene mantenuto vivo il ricordo della cacciata dalle proprie abitazioni di centinaia di migliaia di persone e la mancata nascita del proprio Stato. La data prescelta per questa ricorrenza ha un elevato significato simbolico: il 15 maggio 1948 segna infatti l'inizio della prima guerra arabo-israeliana, che si concluderà ad inizio 1949 con la vittoria del neocostituito Stato ebraico, e l'inizio del calvario del popolo palestinese che in circa settant'anni, a seguito di una serie infinita di vicende avverse, ha portato alla drammatica situazione attuale, caratterizzata da: regime di occupazione militare, espropri e colonizzazione delle terre, violazione sistematica dei diritti umani e delle risoluzioni Onu ed espulsioni, individuali e di massa, continuative con conseguente creazione di una tale entità di profughi che, ad oggi, metà del popolo palestinese vive al di fuori dei cosiddetti "Territori occupati", acquisendo il poco invidiabile status di "popolo della diaspora". La celebrazione della Nakba, col passare dei decenni, ha assunto pertanto un valore più ampio: se da un lato rappresenta il giorno dell'identità nazionale palestinese, dall'altro cerca di mantenere viva l'attenzione internazionale in merito alla negazione di diritti, in primis quello all'autodeterminazione, e alle insostenibili condizioni di vita in cui è costretto.
Se la Nakba è un evento che da un lato unisce l'intero popolo palestinese, dall'altro costituisce elemento di contrapposizione all'interno dello Stato di Israele e della comunità ebraica in generale. La controversia ha iniziato ad emergere a seguito delle ricerche storiche effettuate, a partire dagli anni Ottanta, dalla corrente dei "Nuovi storici" israeliani sulle vicende verificatesi in Palestina nel decennio 1940/50 al dichiarato fine di ricostruire l'effettiva realtà, rispetto a quanto narrato dalla versione "ufficiale", in merito agli eventi che nello specifico hanno portato alla partizione della Palestina, alla fondazione dello Stato di Israele e all'espulsione dei palestinesi dalle proprie terre. A tal proposito, particolare rilevanza scientifica ha assunto l'opera di Ilan Pappé, leader di questa corrente, che ha effettuato approfondite ricerche storiche, spinto dalla necessità per lui imprescindibile di uno Stato effettivamente democratico e di formare l'opinione pubblica e le giovani generazioni sulla base di una versione veritiera del processo fondativo di Israele. In modo che i suoi cittadini potessero acquisire l'effettivo passato del proprio paese e su questo costituire la propria coscienza personale, affrancandosi dalla versione propagandistica del movimento sionista, che era stata elevata a verità storica nazionale e fedelmente riportata nei libri di storia e nei testi scolastici.
La versione ufficiale israeliana riporta che alla scadenza del Mandato britannico sulla Palestina storica (Israele e Territori palestinesi occupati), le Nazioni Unite avevano deliberato, tramite la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, la partizione della regione in due Stati: mentre il movimento sionista si era dichiarato favorevole, il mondo arabo e i palestinesi si opposero, per cui il giorno dopo la fondazione dello Stato di Israele, proclamato alla mezzanotte del 14 maggio 1948, entrarono in guerra contro di esso e convinsero i palestinesi ad abbandonare le proprie case per facilitare le manovre degli eserciti arabi, nonostante gli appelli dei leader ebraici a rimanere. La tragedia dei profughi palestinesi secondo questa versione non sarebbe dunque imputabile a Israele, ma agli arabi stessi, nonostante a quella data già 250.000 palestinesi fossero già stati espulsi. I new historians israeliani hanno sempre contestato questa versione e dopo lunghi e approfonditi studi, compiuti sulla documentazione ufficiale del movimento sionista e sugli archivi militari israeliani desecretati nel 1998, sono giunti a una ricostruzione storiografica che in netto contrasto con quella "ufficiale": fin dagli anni Trenta, i vertici del movimento sionista, sotto la guida di Ben Gurion, futuro padre fondatore di Israele, avevano programmato un piano di pulizia etnica della Palestina con gravi implicazioni morali e politiche, in quanto definire in questi termini ciò che Israele attuò nel 1948 significa accusare la sua leadership di un crimine: un crimine contro l'umanità, nel linguaggio giuridico internazionale. Tuttavia, finalità dell'opera di Ilan Pappé, che ha raccolto e pubblicato i frutti della propria ricerca storica nel libro La pulizia etnica della Palestina, non era l'incriminazione dei suoi fautori, quanto indurre i propri connazionali e l'opinione pubblica mondiale ad ammettere questo "peccato originale" come precondizione per l'avvio di un equo processo di pace fra israeliani e palestinesi. L'opera di Pappé ha però incontrato la netta opposizione dei vertici politici e di gran parte della società e del mondo accademico del proprio paese, fino a costringerlo a lasciare Israele e l'Università di Haifa e a trasferirsi nel Regno Unito per insegnare all'Università di Exeter, e da lì continuare la sua battaglia per l'affermazione della verità sulla fondazione di Israele. Ricostruzione storiografica che continua ad essere fermamente negata ancor oggi dai governi e dai media israeliani, profondamente impregnati dell'ideologia sionista e sempre più ostaggi del movimento ultraortodosso dei coloni.
La rigorosa ricerca storica di Pappé ha dimostrato in modo inconfutabile, essendo basata anche sui documenti del movimento sionista stesso, come le prime azioni ai danni dei palestinesi siano iniziate sin dal dicembre del 1947, all'indomani della Risoluzione 181 dell'Onu, e siano state intensificate a partire dal 10 marzo successivo, allorché venne approvata, nella Casa Rossa di Tel Aviv - sede della leadership sionista - la quarta versione del "Piano Dalet", contenente i dettagli dei metodi da utilizzare per la sistematica espulsione dei palestinesi dal territorio assegnato dall'Onu al futuro Stato di Israele. Il Piano Dalet, come afferma lo stesso Pappé, "era il prodotto inevitabile della determinazione ideologica sionista ad avere una esclusiva presenza ebraica in Palestina" e occorsero "6 mesi per portare a termine la missione. Quando questa fu compiuta più della metà della popolazione palestinese originaria, quasi 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi e 11 quartieri urbani svuotati dei loro abitanti". La dolorosa recente storia del popolo palestinese non è confinata ai soli eventi degli anni Quaranta, in quanto nei decenni successivi se ne può registrare una lunga serie, alcuni dei quali ancor più gravi per l'impatto sulle loro condizioni di vita, fra i quali spicca indubbiamente la "Guerra dei Sei giorni" del 1967, i cui esiti hanno relegato i palestinesi alla condizione di popolo sottoposto ad occupazione militare e prodotto una seconda tragica ondata di profughi.
Secondo l'impostazione della ricerca di Pappé, le due narrazioni storiche ufficiali in competizione su quanto avvenne in Palestina nel 1948 ignorano entrambe il concetto di «pulizia etnica»: "da un lato la versione sionista-israeliana sostiene che la popolazione se andò 'volontariamente', dall'altro i palestinesi parlano di una 'catastrofe' che li colpì, Nakba, un termine che in qualche modo si riferisce al disastro in sé e non tanto a chi o a che cosa lo ha provocato. Il termine Nakba fu adottato, per comprensibili ragioni, come tentativo di controbilanciare il peso morale dell'Olocausto ebraico, ma l'aver trascurato i protagonisti può in un certo senso aver contribuito a perpetuare la negazione da parte del mondo della pulizia etnica della Palestina nel 1948 e successivamente". Un peccato veniale, che tuttavia non cancella il pieno significato che questa giornata rappresenta per il popolo palestinese, vittima di errori propri ma, soprattutto, di un contesto geopolitico internazionale che ha volto lo sguardo altrove rispetto al sistematico abuso del diritto internazionale compiuto ai loro danni e avallato, al di là dei proclami ufficiali, sotto le mentite spoglie di una farsa dal nome "processo di pace", le strategie israeliane tese a guadagnare tempo a vantaggio dell'inesorabile attuazione dell'originario progetto di esproprio e di colonizzazione delle terre palestinesi e di 'ebraizzazione' di Gerusalemme.
Ricordare la Nakba oggi, a 68 anni di distanza, significa mantenere viva l'attenzione sui diritti negati del popolo palestinese, al fine di indurre l'opinione pubblica internazionale a prenderne realmente coscienza e ad esercitare pressioni sui propri governi affinché dopo settant'anni si giunga finalmente ad un loro definitivo riconoscimento.

15 maggio 2016

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.